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Contratti, il ritorno al passato di Barbagallo, Camusso e Furlan

E’ il 24 gennaio del 1978. Eugenio Scalfari intervista il leader della Cgil Luciano Lama, il quale così risponde: “Ci siamo resi conto che un sistema economico non sopporta variabili indipendenti. I capitalisti sostengono che il profitto è una variabile indipendente. I lavoratori e il loro sindacato, quasi per ritorsione, hanno sostenuto in questi anni che il salario è una variabile indipendente. In parole semplici: si stabiliva un certo livello salariale e un certo livello dell’occupazione e poi si chiedeva che le altre grandezze economiche fossero fissate in modo da rendere possibile quei livelli di salario e d’occupazione. Ebbene, dobbiamo essere intellettualmente onesti: è stata una sciocchezza, perché in un’economia aperta le variabili sono tutte dipendenti una dall’altra”. A questo punto di nuovo Scalfari domanda: “Vuol dire che se il livello salariale è troppo elevato rispetto alla produttività, il livello dell’occupazione tenderà a scendere?”. Ed ecco Luciano Lama di rimando: “È esattamente così, l’esperienza di questi anni ce l’ha confermato. Oppure, l’occupazione non scenderà, ma la disoccupazione aumenterà, perché le nuove leve giovani non troveranno sbocco”.

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Quanti anni sono passati da quell’intervista che segnò una svolta nella cultura del sindacato? Tanti. E molta acqua è transitata sotto i ponti. Eppure, con la loro piattaforma sulle relazioni industriali, Cgil, Cisl e Uil tornano nei fatti a prima di quella intervista, quando ribadiscono non solo la centralità del contratto nazionale di categoria, ma gli affidano il compito di “svolgere un ruolo di regolatore salariale, uscendo dalla sola logica della salvaguardia del potere d’acquisto, che nasceva da un’esigenza di contenimento salariale in anni di alti tassi di inflazione, per assumere nuova responsabilità e ruolo. Le dinamiche salariali dovranno, così, contribuire all’espansione della domanda interna, a contrastare le pressioni deflattive sull’economia nazionale, a stimolare la competitività delle imprese e la loro capacità di creare lavoro stabile e qualificato, nonché a valorizzare, attraverso una equa remunerazione, l’apporto individuale e collettivo delle lavoratrici e dei lavoratori’’. Non si tratta più di salvaguardare il potere d’acquisto (come prevedeva il Protocollo del 1993), ma di aumentarlo. Per di più – riesumando il cadavere putrefatto dell’articolo 39 della Costituzione – il contratto nazionale acquisterebbe la forza della legge.

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Un giovane e brillante dirigente sindacale, Marco Bentivogli (il segretario generale della Fim-Cisl), ha colto nel segno quando ha detto, nel suo intervento alla riunione unitaria, che: “E’ un ossimoro caricare di ulteriore ruolo salariale il ccnl e puntare sulla contrattazione aziendale o territoriale. Non si può fare centralizzazione e decentramento allo stesso tempo’’.

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Questa volta, però, la Cgil è riuscita a vendere alla Cisl la Fontana di Trevi.

(L’INTERVENTO DI MARCO BENTIVOGLI SI PUO’ LEGGERE QUI)

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