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Libia, ecco tutte le mosse di Francia, Gran Bretagna, Usa e Italia

Da un lato gli sforzi per la formazione di un governo di concordia nazionale. Dall’altro l’attivismo di alcune potenze regionali, come la Francia, e le pressioni degli Stati Uniti per pacificare il Paese. Al centro gli sforzi diplomatici dell’Onu e dell’Italia e le violenze dello Stato Islamico che aggravano il caos. La Libia post Muammar Gheddafi è ancora una matassa da sbrogliare, ritornata di prepotenza tra le priorità occidentali. Mentre si susseguono notizie e indiscrezioni. Vincenzo Nigro, su Repubblica, racconta che “l’Aeronautica militare ha trasferito” il 16 gennaio “a Trapani, in Sicilia, 4 cacciabombardieri Amx dalla base di Istrana, in provincia di Treviso”. Una decisione “presa martedì in una riunione del gabinetto di crisi a Palazzo Chigi”, a causa della preoccupazione per la crescita dell’Isis in Libia. L’agenzia Nova scrive sulla base di alcune fonti libiche di stanza a Tunisi: “I raid aerei che da settimane colpiscono i territori controllati dallo Stato islamico a Sirte sarebbero stati effettuati da caccia egiziani Rafale riforniti in volo dall’aviazione francese”. Dice a Formiche.net Mattia Toaldo, analista presso lo European Council on Foreign Relations di Londra: “Se Francia e Stati Uniti, e a ruota il Regno Unito, dovessero decidere di attaccare anche senza la nascita di un governo, noi non potremmo fare molto e forse il nostro governo potrebbe decidere di supportarli. Tuttavia l’Italia, investita proprio da Washington di un ruolo guida nel dossier e indispensabile per collocazione logistica, potrà dire la sua. E di questo potere negoziale, nelle mani di Matteo Renzi, Parigi e ad altre capitali tengono senza dubbio conto”.

L’ATTIVISMO FRANCESE

In effetti spiccano, negli ultimi giorni, i movimenti di Parigi. Da almeno quarantotto ore, raccontava il 13 gennaio Marco Galluzzo sul Corriere della Sera, “sono stati segnalati cacciabombardieri non identificati nei cieli libici, in volo sopra Sirte e Bengasi” e “la nostra intelligence non si mostra sorpresa: francesi, americani e anche inglesi hanno in corso operazioni, o in territorio tunisino o sui cieli della Libia, che potranno tornare utili nelle prossime settimane, quando secondo le aspettative occidentali decollerà il governo nazionale libico e ci sarà una richiesta ufficiale di intervento, di supporto militare, alla ricostruzione del Paese governato per decenni dal regime di Gheddafi”. Il caso più emblematico è quello francese. Quella transalpina è un’attività particolarmente intensa, raccontava sempre giorno 13 gennaio sul Sole 24 Ore Gerardo Pelosi, “che si è tradotta l’altro ieri” (11 gennaio, ndr) “in un attacco aereo a Sirte contro un convoglio Isis (smentito però da Parigi) e ieri” (10 gennaio) “in numerosi sorvoli tra Bengasi e Misurata da parte dei caccia francesi Rafale in azione sulla Siria come dimostra il piano di volo (tracciato dal sito Flightradar 24) di un aereo cisterna Boeing C135 Stratotanker FAF 410 dell’aviazione francese decollato dalla base di Istres, vicino a Marsiglia, ieri mattina alle 8,07 e rientrato alle 15 dopo oltre tre ore di rifornimenti in volo sul Golfo della Sirte, dopo essere entrato, sia all’andata che al ritorno, nello spazio aereo italiano”.
Non è la prima volta che Parigi dimostra di voler intervenire. Su un piano europeo, Roma – ha svelato il 28 dicembre sulla Stampa Paolo Mastrolilli – ha dovuto faticare non poco per contenere l’attivismo di Parigi che avrebbe rischiato di compromettere l’intero processo negoziale supportato invece dall’Italia. “All’inizio di dicembre era stato… il premier francese Manuel Valls ad ipotizzare l’estensione alla Libia delle operazioni che la coalizione guidata” dagli Usa “conduce già in Siria e Iraq. L’Italia aveva frenato, attraverso contatti avvenuti anche a Washington sul piano diplomatico, e tra i vertici dei rispettivi apparati di intelligence”. La ragione di questa prudenza, rimarcò Mastrolilli, era proprio nel fatto che “azioni non coordinate rischiavano di complicare il quadro, invece che di chiarirlo, rendendo molto più difficile la mediazione dell’Onu per creare un governo di unità nazionale” e col rischio, aggiuntivo, di rafforzare le componenti jihadiste nel Paese, l’Isis, ma anche Ansar al Sharia.

LE DIVERGENZE

Le attività francesi non sono esenti anche da altri rischi per Roma, soprattutto se l’evoluzione dei negoziati dovesse subire un ulteriore stop. L’Italia, ha spiegato il Sole 24 Ore, “resta convinta che per evitare gli errori del 2011 occorra prima insediare un Governo legittimo a Tripoli, unico soggetto abilitato a chiedere aiuto agli altri Paesi per la stabilizzazione del Paese e la lotta all’Isis. Ma se da un lato tutti riconoscono la leadership diplomatica del nostro Paese le idee divergono sulle future iniziative internazionali e sugli strumenti in mano alla coalizione anti-Isis per sradicare l’Islam politico radicale da quel Paese”. E il rischio, ha evidenziato Pelosi, “è che mentre l’Italia, in stretto coordinamento ora con il Comitato di presidenza e poi con il futuro Governo, continuerà a seguire i principi che regolano la legalità internazionale, altri Paesi come Francia e Regno Unito possano avere la tentazione di bruciare le tappe nella convinzione di usucapire con la lotta a Daesh una posizione di forza nella spartizione del ricco “bottino” energetico che il Paese si troverà a governare ripetendo gli errori del 2011 che hanno favorito l’anarchia attuale”.

IL FATTORE ISIS E I TIMORI USA

Tutte le manovre attuali, francesi e non solo, trovano la loro motivazione ufficiale nel contrasto al sedicente Califfato. Una minaccia reale, confermata dalle cronache recenti. Il 13 gennaio un gruppo di ignoti uomini armati ha attaccato il Mellitah Oil and Gas Complex nell’ovest della Libia, terminal energetico che l’italiana Eni condivide con la società nazionale del petrolio (Noc). Poi nuovi attentati e attacchi kamikaze. Mentre è di ieri la notizia, non confermata dalla Farnesina, della possibile cattura di oltre 150 persone tra militari e guardie nell’area degli impianti di stoccaggio del petrolio nell’est del Paese. La situazione preoccupa non poco gli Stati Uniti, che dopo una relativa prudenza hanno deciso di fare di nuovo della Libia una priorità. La spinta iniziale è arrivata dalla conferenza di Roma organizzata a metà dicembre scorso dalla diplomazia italiana col sostegno di Washington. Ma ha trovato declinazione nelle analisi dell’Africom, responsabile per le relazioni e le operazioni militari statunitensi che si svolgono in tutto il continente africano ad esclusione del solo Egitto, che in una nota del 5 gennaio diramata dal Dipartimento della Difesa identificano la Libia come la seconda priorità continentale degli Usa dopo la Somalia e prima di Boko Haram. Letta sotto questa lente, la posizione della superpotenza americana potrebbe essere risolutiva per stabilire le tappe di un intervento internazionale, se le attività diplomatiche in essere e lo stesso dialogo tra libici dovessero fallire.

LE PAROLE DI KOBLER

Che le attività internazionali per pacificare libica stiano subendo un’accelerazione lo si intuisce anche dalle parole di Martin Kobler, il diplomatico tedesco che guida la missione delle Nazioni Unite nel Paese. Ieri, in un’intervista concessa a Repubblica, l’emissario ha spiegato che nell’ex Regno di Muammar Gheddafi la priorità è “fermare l’espansione del Daesh”. La “loro minaccia sta crescendo, Non c’è dubbio: i terroristi del Daesh in Libia hanno dimostrato di avere la capacità di agire in parallelo, allargandosi non solo verso Est, verso i pozzi petroliferi. Ma anche verso Sud. E per fermarli si può solo combattere. Militarmente. Ma per fare questo c’è bisogno che a combattere il Daesh siano i libici, uniti, e per unire i libici c’è bisogno di un accordo politico, di un consenso politico che faccia ripartire l’azione politica in Libia”. E se ciò non accadesse in tempi brevi?

L’ANALISI DI TOALDO

Per Mattia Toaldo, analista presso lo European Council on Foreign Relations di Londra sentito da Formiche.net, “prende forza il fronte di chi vorrebbe intervenire con o senza governo di unità nazionale. Si sta rendendo chiaro che il tempo a disposizione dei libici per risolvere da soli la crisi sta scadendo”. Il limite fissato per la formazione del nuovo esecutivo, ricorda, “è domenica 17 gennaio”, tra poco più di due giorni. “Ancora non è chiaro se vedrà la luce e se sarà consegnata la lista dei nuovi ministri, che alcune fonti sostengono essere comunque già pronta. Ieri è nato un Consiglio di sicurezza nazionale chiamato a negoziare gli aspetti militari dell’accordo. Si tratta di un passo in avanti, anche se è osteggiato dai “falchi” di entrambe le macro fazioni, Tripoli e Tobruk”. In questo complesso scenario, spiega l’esperto, si collocano le pulsioni francesi, e non solo. “Se l’accordo dovesse fallire o essere rimandato ancora, c’è la possibilità che si assista a pochi attacchi mirati, magari contro obiettivi dell’Isis. Azioni che potrebbero essere anche ben viste di buon occhio dai locali. Ma sarà difficile assistere a qualcosa di più”. Bisogna ricordare, rileva, “che allo stato attuale nessuna risoluzione dell’Onu autorizza un intervento in assenza di una richiesta esplicita di un governo libico, che come detto è assente e potrebbe esserlo ancora. E soprattutto va evidenziato che, in questo quadro, pesa anche la posizione italiana”.
Secondo Toaldo, l’Italia proseguirà nel mantenere un atteggiamento che favorisca il dialogo che potrebbe parzialmente mutare solo nel caso di grosse fughe in avanti degli alleati. “Certo”, sottolinea ancora l’analista, “se Francia e Stati Uniti, e a ruota il Regno Unito, dovessero decidere di attaccare anche senza la nascita di un governo, noi non potremmo fare molto e forse il nostro governo potrebbe decidere di supportarli. Tuttavia l’Italia, investita proprio da Washington di un ruolo guida nel dossier e indispensabile per collocazione logistica, potrà dire la sua. E di questo potere negoziale, nelle mani di Matteo Renzi, Parigi e ad altre capitali tengono senza dubbio conto”.



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