Anni di allarmi inascoltati mentre l’Etruria colava a picco. E’ quello che emerge da alcuni documenti presentati nel corso delle assemblee che hanno preceduto il tracollo della banca aretina. Alcuni allegati ai verbali, altri no. Ma tutti riesumati in questi giorni da Vincenzo Lacroce, socio della banca e ora, in veste di presidente dell’associazione Amici Banca Etruria, in prima linea per ottenere i rimborsi, parziali, promessi dal governo ai risparmiatori dopo il salvabanche. Vediamo quello che si legge dai documenti.
QUANDO ESPLOSERO LE SOFFERENZE
E’ il 25 aprile del 2010, cinque anni prima del commissariamento e del successivo crack, quando Lacroce lamenta in un documento presentato nell’assemblea per l’approvazione del bilancio 2009 le prime avvisaglie della tempesta che di lì a qualche anno travolgerà la banca aretina, puntando il dito non tanto contro “la perdita di 11, 4 milioni di euro, possibile in un periodo di grave crisi economica, quanto alla difficile situazione dei crediti”. Al riguardo il socio rileva che, “nonostante le rettifiche per 108,2 milioni di euro, il bilancio presenta crediti deteriorati con un incremento pari al 9,4% del totale dei crediti rispetto al 31 dicembre 2008 (661,5 milioni di euro a fronte di 292,1 milioni, con un incremento di 369,4 milioni)”. Dunque nel 2009 la banca aveva già seri problemi di sofferenze”. Poi, scorrendo le righe salta fuori quella che sembra una profezia: “Gli errori del passato continueranno a condizionare la vita della banca che necessita di razionalizzazione in ordine alle partecipazioni, agli sportelli non redditizi ed agli investimenti nel settore immobiliare.”
LE (TANTE) DOMANDE DEI SOCI
Ma non ci sono solo constatazioni di una gestione del credito a dir poco discutibile nei verbali. Dai documenti emergono anche le tante domande sollevate da Lacroce sulla concessione dei finanziamenti: “Le perdite su crediti iscritte nel bilancio 2009 sono maturate tutte nell’anno o si riferiscono a posizioni incancrenite da anni nel qual caso ci sarebbero gravi responsabilità nella compilazione dei bilanci precedenti?”, si chiede il socio. E poi “le modalità con le quali sono stati istruiti e concessi tali finanziamenti, in particolare nel 2006, sono state tecnicamente impeccabili?” E “il controllo sull’andamento degli affidamenti veniva e viene effettuato in modo incisivo?”. Il tutto per chiedere quella “maggiore trasparenza” che avrebbe, forse, potuto salvare la banca.
AMMINISTRATORI A CASA
Il 3 aprile 2011 è in programma un’altra assemblea dell’Etruria. Ed è in quella occasione che Lacroce chiede ai vertici dell’epoca di farsi da parte. D’altronde le sofferenze sono già salite pericolosamente a 855 milioni, pari al 10% degli impieghi. “L’attuale governance non sembra in grado di dare la svolta necessaria per il cambiamento. Banca Etruria deve ritornare a fare la banca nei territori storici. Il nostro motto non è cambia la banca ma cambia gli amministratori”.
L’ORA DELLE SCELTE CORAGGIOSE
Passano due anni e la situazione dell’Etruria si fa sembre più complicata. Nell’assemblea del 1 aprile 2012 Lacroce presenta un altro documento, in cui lancia nuovamente l’allarme sofferenze, richiamando l’attenzione su “un portafoglio crediti che presenta partite deteriorate per un miliardo di euro”. Una cifra enorme per una banca locale. Un quadro della situazione che spinge il socio a chiedere ai vertici dell’istituto di considerare la dismissione di alcune partecipate, per tagliare i rami secchi prima che sia troppo tardi. “E’ il momento di fare delle scelte coraggiose dismettendo quelle partecipate non più strategiche”, si legge. “Credo”, è l’appello conclusivo, “sia giunto di correggere la rotta, nell’interesse della banca, dei dipendenti e della clientela”.
L’ULTIMO APPELLO
L’ultima assemblea prima del commissariamento si tiene il 4 maggio del 2014. Lo stesso giorno in cui va in scena l’ennesimo appello dei piccoli soci. “C’è bisogno di fare fronte comune. Mi rivolgo alle forze sane della città (Arezzo, ndr) e agli imprenditori orafi affinché partecipino alle nuove fasi della banca”, scrive Lacroce. Le voci di fusione con la popolare di Vicenza si facevano sempre più insistenti e i piccoli soci chiedevano in questo senso garanzie sul mantenimento della vocazione territoriale della banca, pur intravedendo una fase nuova per la banca, forse una svolta. Che non arrivò. L’integrazione, come è noto fallì. E 10 mesi dopo arrivarono i commissari.