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Che cosa deve fare l’Italia a Bruxelles

Sono stato sempre contrario ad alzare la voce, ma favorevole a parlare per farsi sentire con argomenti che colpiscano con precisione scientifica gli errori commessi; da ultimo ho bollato la decisione di penalizzare gli obbligazionisti “subordinati” di Banca Etruria.

Se proprio si fosse voluto dare una lezione ai risparmiatori avventati – predicando da un pulpito che non è legittimato a infliggerla, essendo responsabile della situazione venutasi a creare – si dovevano almeno ratificare i comportamenti passati, anche perché il bail-in non era ancora entrato in vigore, e avvertire il cambiamento di politica per il futuro.

Invece si è voluto infliggere maldestramente una perdita di poco più di 400 milioni di euro agli investitori sprovveduti delle informazioni che invece le autorità e l’alta dirigenza bancaria aveva, proponendo di sgravare le banche di centinaia di miliardi di sofferenze, per poi creare il solito meccanismo farraginoso pubblico per sanare l’errore, che non può se non creare malumori e causare perdite al sistema bancario e all’economia reale.

Si accusa ora l’Unione Europea d’essere un coacervo di regole, dimenticando che queste regole, ivi incluso il bail-in, sono state trasformate in legge per nostra volontà, dopo averle approvate nel corso dei Consigli europei dei Capi di Stato e di Governo senza tenere conto delle obiezioni avanzate. Ho già ricordato che sentendo questi giudizi, Guido Carli ripeteva che chi li pronunciava si doveva mettere di fronte a uno specchio e ordinarsi di provvedere (precisava “con suoni gutturali”, da militari). Perché non lo si fa?

Intanto si può ricorrere allo strumento che tutti i paesi-membri vanno usando: la moratoria “temporanea” dei provvedimenti; ma anche prendere carta e penna e scrivere, come ha fatto il Premier Cameron, a quali condizioni possiamo stare in Europa, indicendo un referendum dopo il termine che si stabilirà per avere una risposta. Ci sarebbero attacchi speculativi? Occorre prepararsi per tempo, trovando nuove alleanze di politica estera e sistemando parte del debito pubblico cedendo il patrimonio dello Stato centrale e locale.

Perché non lo si fa? È chiaro che l’idea è che il popolo non capisce nulla e se lo si lasciasse decidere farebbe scelte sbagliate. Perché i gruppi dirigenti le hanno fatte giuste? La gara tra chi capisce e chi non capisce non vede, carte alla mano, una netta divisione tra i partecipanti: chi non capisce è trasversalmente diffuso e i gruppi dirigenti combinano più guai dei gruppi diretti.

La verità è che la democrazia è morta, ammesso che sia mai esistita, e che il popolo è tornato suddito di nuovi sovrani. La realtà è che non sono state allevate persone capaci di opporsi a questo stato di cose dialogando con pari dignità e incisività con gli interlocutori esteri di turno e quelle che potevano diventarlo sono state gambizzate. Gli ultimi che sono stati allevati sono caduti nel tranello dell’europeismo “ideale” e dell’anglicismo “di maniera”.

Lasciando le cose come stanno, ignorando e osteggiando chi non la pensa come gli attuali gruppi dirigenti, non resta che il declino di quel bel Paese che ci viene descritto; esso resterà sempre più solo una marca di formaggio.

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