A difesa e sostegno del progetto delle unioni civili made by Cirinnà si possono scomodare tutti i diritti di questo mondo, ma alcuni aspetti non hanno mai avuto, ad avviso di chi scrive, una risposta convincente. Così come è formulato il disegno di legge, l’istituto giuridico delle unioni civili non è un modo di stabilire un rapporto, connotato da diritti e doveri tra le persone, ma diverso dal matrimonio. Era questa l’impostazione del DICO – la soluzione proposta dal Governo Prodi 2 – che, sulla base della certificazione di un rapporto di convivenza, poteva riguardare non solo persone del medesimo sesso, ma anche di sesso diverso ed essere basato, pure, su relazioni amicali e di solidarietà, al di fuori, però, di vincoli di stretta parentela.
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Non a caso l’allora ministro Rosy Bindi, nell’illustrare il progetto, portò l’esempio di una nipote che assiste una vecchia zia. Non si capisce perché, adesso, l’istituto debba riguardare esclusivamente le coppie omosessuali e non anche quelle eterosessuali. La si può girare come si vuole, ma in tal modo (anche per i numerosi rinvii alle norme del codice civile sul diritto di famiglia), l’unione civile diventa inevitabilmente il “matrimonio’’ delle persone appartenenti allo stesso sesso. E paradossalmente due persone eterosessuali – che magari convivono in armonia da decenni ed hanno generato ed allevato dei figli – per aver riconosciuti i loro diritti reciproci (gli stessi che le persone omosessuali rivendicano per sé) hanno una sola possibilità: quella di sposarsi.
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Quanto alla questione della possibile adozione del figlio del partner viene spontanea una considerazione. Quel figlio (o quella figlia) avrà necessariamente un padre o una madre naturale, in base a una precedente relazione eterosessuale tra i due genitori. Nella normalità dei casi l’altro genitore continua a mantenere degli obblighi e dei diritti sul figlio (o la figlia), anche se non ha più rapporti di carattere giuridico o affettivo con il precedente partner. Poiché nessuno, dunque, può essere espropriato della paternità o della maternità (se l’ha riconosciuta), è evidente che, in queste situazioni, il “desiderio di prole’’ della coppia omosessuale potrà essere soddisfatto soltanto attraverso il ricorso alla fecondazione eterologa (se la coppia è formata da due femmine) o al c.d. utero in affitto (se si tratta di due maschi).