Io sto con i lavoratori. Solo a Ravenna sono quasi 5 mila e negli ultimi 6 mesi se ne sono persi quasi 900. E non è finita.
Il via libera da parte della Consulta al referendum ‘no triv’ è a mio parere l’ennesima occasione persa. Anzi, per essere più precisi, è l’ennesimo ostacolo che si pone lungo la strada della ripresa del Paese, che come sappiamo è difficile e non è affatto scontata.
L’effetto che avrà il referendum, aldilà del risultato, è che si produce incertezza in uno dei settori trainanti dell’economia del Paese, a più alto valore aggiunto e specializzazione. In questo modo gli investitori dell’oil&gas si ritireranno dall’Italia: in realtà lo stanno già facendo. Mentre le aziende sub contrattiste andranno in profonda crisi. Anzi stanno già soffrendo.
E vorrei ricordare a chi sostiene l’esigenza di fermare le estrazioni in mare che i primi a soffrire di uno stop alle trivellazioni saranno proprio i lavoratori delle ‘nostre aziende’ dell’impiantistica meccanica, dei servizi, dell’ingegneria, ecc. cioè quella parte della società che sta già pagando maggiormente gli effetti della lunga crisi. E ai quali non viene detto che cosa faranno domani, quale sarà la loro occupazione nel momento in cui le loro imprese chiuderanno i battenti.
Si tratta di migliaia di persone da Ravenna alla Basilicata all’Abruzzo ed in tutta Italia che hanno il solo difetto di sapere fare bene il proprio lavoro ma del cui futuro e delle loro famiglie pare non importi ai nuovi campioni della difesa dell’ambiente, che mentre non vuole che l’Italia si comporti come gli altri Paesi sviluppati (ieri la Norvegia ha rilasciato 56 concessioni nei suoi mari) utilizzando le proprie risorse per fare funzionare meglio l’economia e quindi il welfare, con considerevoli risparmi nella bolletta energetica nazionale ma continua a consumare quotidianamente energia, muovendosi in auto, e comparendo allegramente in televisione.