Nel 2011 l’attacco all’Italia era stato sferrato attraverso le vendite in massa di Btp e titoli di Stato tricolore che avevano portato lo spread col Bund tedesco oltre 500 punti base. Ora il fortino Btp è blindato dal Qe della Bce e allora i cannoni della speculazione si sono spostati dal debito alle azioni delle banche. Allora l’intento era mandare a casa Silvio Berlusconi e l’azione coordinata Merkel-Sarkozy raggiunse l’obiettivo con il risultato di stringere ancora di più i paletti del rigore e di schiacciare l’economia italiana che da allora ha perso quasi 10 punti di pil. Un rallentamento che ha indebolito, in certi casi falcidiato, il mondo imprenditoriale italiano e che si è inevitabilmente ripercosso sui creditori delle stesse imprese, vale a dire le banche, ora alle prese con un bagaglio di sofferenze improbo da smaltire se non attraverso la creazione di un veicolo ad hoc, la tanto attesa ma mai partita bad bank.
Oggi nel mirino c’è Matteo Renzi, reo di avere alzato la testa, rivendicando i progressi dell’Italia («siamo tornati, se ne facciano una ragione coloro sono impauriti da questo nuovo protagonismo italiano e che preferirebbero averci più deboli e marginali», ha ribadito ieri il premier) e bacchettando a più riprese i burocrati della Commissione di Bruxelles che con l’Italia sembrano avere una questione personale. Ed ecco giù fendenti sull’anello più debole della catena: le banche e i loro crediti problematici.
Prima l’ostracismo totale alla bad bank (su cui, va detto, anche il governo italiano si è incartato e non poco), poi il corto circuito sul salvataggio delle banche e i pseudo aiuti di Stato, poi ancora la normativa sul bail-in che sembra cucita addosso al sistema italiano e, alla fine, il bombardamento a tappeto in borsa scatenato dagli hedge e da alcuni portafogli internazionali impegnati in manovre speculative long/short sui rumor di nuova crisi di Mps e sull’arcinoto monitoraggio delle sofferenze da parte della Vigilanza Bce, quella stessa Vigilanza che non più tardi di un mese fa ha condotto l’indagine Srep sulle grandi banche certificandone la solidità patrimoniale.
E che si tratti di un raid a tappeto, e non di bombe intelligenti, lo dimostrano le pesanti flessioni accusate ieri dalla banca più forte e più liquida in Europa (Intesa ) e da quella che ha forse il più basso grado di sofferenze (Ubi) e non solo dalla solita Mps (tornata sui livelli di capitalizzazione pre-aumento da 3 mld pur a fronte di un Cet 1 Ratio del 12% contro il 10,2% richiesto dalla Bce, della decisione di non distribuire dividendi e del calo della percentuale di crediti deteriorati).
Bene hanno fatto a puntualizzare Bce, Abi e Tesoro parlando di controlli di routine e permettendo il rimbalzo, ma ci vuole di più. Zittire i rumor è come provare a fermare il vento con le mani ma accelerare sulla creazione di una bad bank con tutti i crismi diventa un dovere sempre più impellente. E poi occorre fare di tutto per ristabilire la fiducia nelle banche che sono un motore imprescindibile della ripresa. Il tiro al piccione serve a poco, anzi è un suicidio: senza il contributo del credito il sistema salta. Sullo sfondo resta la domanda più inquietante: a chi giova mettere sotto tanta pressione le banche italiane?
(Pubblichiamo questo articolo uscito sul quotidiano Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori)
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