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Vi spiego perché l’Italia e le banche sono sotto attacco

Siamo già tutti pronti a stracciarci le vesti, perché il sistema bancario italiano è afflitto da scarsi margini di profitto, oberato da oltre 200 miliardi di sofferenze e con il divieto di costituire una Bad Bank assistita dalla garanzia dello Stato, in un contesto in cui il Bail-in non consente più aiuti pubblici se non dopo che azionisti, obbligazionisti e depositanti per l’importo ulteriore rispetto a 100 mila euro ci abbiano messo del loro per risanare i conti dopo la decisione di procedere alla risoluzione della banca.

Si guarda con giusto sgomento al polverizzarsi del valore dei titoli bancari messi sotto attacco dalla raffica di vendite, e si assiste con ancor più grande preoccupazione al crollo del valore delle obbligazioni bancarie subordinate.

Bisogna cercare di capire che cosa succede.

Il 2015, è ben noto, è stato l’anno di grazia per i Fondi di investimento e di gestione del risparmio: hanno aumentato la raccolta a dismisura, approfittando dei bassi rendimenti offerti sui depositi bancari e delle inquietudini dei risparmiatori per le troppe e spesso incomprensibili decisioni delle autorità europee di vigilanza sul settore bancario. Tra l’altro, quelli che operano in Italia, quale che sia la loro nazionalità, investono all’estero la gran parte della raccolta: è una vera e propria esportazione di capitale, assolutamente legale, che impoverisce costantemente l’economia reale. La ragione è semplice: mentre il risparmio bancario viene principalmente trasformato in credito, l’investimento finanziario viene piazzato su titoli quotati sul mercato. Quello italiano è troppo piccolo e concentrato addirittura sulle azioni bancarie, e quindi è giocoforza andare ad investire fuori.

Mettere sotto pressione il sistema bancario significa quindi dirottare risorse dal credito alla finanza, dall’Italia all’estero.

Ci troviamo di fronte al rallentamento dell’economia cinese; alla crisi dei Paesi emergenti come il Brasile per via dell’enorme debito estero e del crollo del prezzo delle materie prime; all’abbattimento degli introiti dei Paesi produttori di petrolio e gas, dall’Arabia Saudita alla Russia; ad una economia europea che non decolla e in cui la crescita dei prezzi è ancora vicina allo zero; ad una economia americana che si è ripresa dalla crisi solo per merito di enormi iniezioni di liquidità e di deficit pubblico, ma in cui la nuova occupazione è prevalentemente part-time e concentrata nelle fasce retributive basse e dei lavori servili a scarso contenuto professionale.

In questo contesto, dal 1° gennaio di quest’anno l’Europa ha tolto ufficialmente ogni protezione al suo sistema bancario, e non è un caso che dalla ripresa delle contrattazioni assistiamo ad una perdita generalizzata su tutti i comparti: ogni scusa è buona, dalle vendite di auto che vanno male in Russia e Brasile, ai rumors su indagini antifrode verso una casa automobilistica francese, alle rinnovate richieste di risarcimenti americani nei confronti della Volkswagen per il caso dieselgate.

Si è aperta la caccia al risparmio italiano: nel triennio 2010-2012, i mercati si infuriarono contro l’Italia, per la denunciata insostenibilità del debito pubblico. Il risultato economico fu devastante, per via della recessione determinata dalle manovre economiche dei diversi governi dell’epoca, da Berlusconi a Monti, ma ancor più drammatico è stato il deflusso di risorse finanziarie verso la Germania, ritenuta il porto sicuro all’interno dell’euro. Le banche tedesche hanno fatto il pieno di depositi, traboccano di liquidità con enorme beneficio per le imprese tedesche e per i bilanci pubblici che pagano addirittura tassi negativi sui prestiti e sui titoli emessi.

Da quando la Fed americana ha preannunciato di voler alzare i tassi, molti capitali europei sono volati oltre Atlantico, alla ricerca di rendimenti migliori. Le banche del nord Europa temono di vedersi svuotati i forzieri, e cosi ha ripreso a rullare il tamburo della crisi italiana.

Tanti sono i dossier aperti con Bruxelles: dalle clausole di flessibilità sul bilancio alla costituzione di una Bad Bank con garanzie pubbliche, dagli aiuti di Stato per il risanamento ambientale dello stabilimento dell’Ilva a Taranto alla presa di posizione dell’Italia, contraria al raddoppio del North Stream che fa arrivare il gas russo direttamente alla Germania.

C’è chi cerca la delegittimazione dell’Italia nel confronto internazionale: era il 23 ottobre del 2011 quando, nel corso di una conferenza stampa al termine del Consiglio europeo, il duo Merkel e Sarkozy si scambiò un sorriso beffardo prima di rispondere ad una domanda sul Presidente italiano Berlusconi.
Non è casuale, in questi giorni, la polemica con il premier italiano Matteo Renzi da parte del Presidente della Commissione europea, il lussemburghese Jean Claude Junker, che addirittura ha ribadito che la colpa è dell’Italia, perché “non sa con chi parlare”.

Prima il debito pubblico italiano, ora le banche: è sempre al nostro risparmio che si dà la caccia. Mentre va tappare i buchi degli altri, il suo deflusso crea voragini nella nostra economia.

Occhi aperti: l’Italia è tornata sotto attacco.

(Estratto di un’analisi più ampia pubblicata sul sito di Teleborsa)

 

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