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Che cosa si sono detti Cirino Pomicino, Mieli e Prodi

Come si vive in un’Italia senza più partiti? E con il Parlamento esautorato dalle sue funzioni? Uno spazio lasciato vuoto dalla politica che viene automaticamente occupato da altri. Per esempio, dal capitalismo finanziario.

Questo il tema centrale del nuovo libro di Paolo Cirino PomicinoLa Repubblica delle giovani marmotte, l’Italia e il mondo visti da un democristiano di lungo corso, Utet edizioni -, ex ministro del Bilancio della Dc, uno dei fedelissimi di Giulio Andreotti nonché protagonista eccellente della politica italiana negli anni 80. Quella politica che oggi viene messa da molti sul banco degli imputati perché generatrice di gran parte del debito pubblico che ci portiamo sulle spalle. Accusa che Pomicino, oggi analista ed editorialista su diversi quotidiani, respinge al mittente. “Erano anni in cui l’inflazione galoppava a due cifre, con uno scontro fortissimo sulla scala mobile. Ma allora l’Italia era un Paese che cresceva ogni anno. Noi abbiamo le nostre colpe per quanto riguarda la degenerazione affaristica della politica poi esplosa con Tangentopoli, ma bisogna dire che, sulle scelte strategiche e fondamentali per il Paese, la Dc fino al 1980 non ne ha sbagliata una”, osserva Pomicino. Sollecitato, per l’occasione (siamo al Tempio di Adriano a Roma), dall’interlocuzione con Marco Damilano, Paolo Mieli e Romano Prodi.

E proprio col Professore lo scambio di battute è pepato. “Pomicino è stato uno dei miei più acerrimi critici sia quando ero all’Iri sia quando stavo a Palazzo Chigi. Se sono qui sono la prova vivente dell’esistenza della sindrome di Stoccolma”, osserva l’ex premier. Le giovani marmotte del libro, naturalmente, sono i protagonisti della nuova classe dirigente renziana, ma anche di quella imprenditoriale. Che Pomicino trova del tutto impreparata alla gestione del potere e al governare meccanismi complessi. “Possibile che bisogna sempre rivolgersi a dei tecnici, come Draghi, che ha fatto diversi passaggi tra pubblico e privato? Possibile che non ci siano più politici in grado di fare la politica economica di uno Stato?”, si chiede l’autore del libro.

Gran parte della crisi italiana Pomicino la imputa alla scomparsa dei grandi partiti di massa: “Lo Stato cui in Europa tutti facciamo riferimento è la Germania, guarda caso l’unico che ha conservato i partiti figli del Novecento. Che sono in grado di prendersi le loro responsabilità e di guardare avanti. Da noi, invece, i partiti non esistono più. E Renzi non sta facendo altro che accelerare il loro sgretolamento. Ma la politica si fa con i partiti. Non hanno ancora inventato degli strumenti migliori”, sottolinea l’ex ministro del Bilancio. Che sul premier aggiunge: “Renzi è più berlusconiano di Berlusconi. In confronto a lui il Cavaliere era un berlusconiano dilettante…”.

Renzi gran “marmottone”? Paolo Mieli, che in settimana ha scritto un duro editoriale contro il premier, evidenzia come il rottamatore, se da una parte ha completamente sconvolto l’universo politico italiano, dall’altro “ha creato un fenomeno di rigetto e di rifiuto proprio dalla sua parte politica, la sinistra, e questo a lungo andare può diventare il suo tallone d’Achille”.

“I partiti avevano tanti difetti, ma li abbiamo sostituiti con il nulla, per questo la nostra democrazia è in sofferenza. Oltretutto dobbiamo fronteggiare la concorrenza di Paesi non democratici o fintamente liberali i cui governi mettono in campo capitali e politiche economiche senza rendere conto a nessuno, in maniera molto veloce. Che possiamo fare contro i ricchi Paesi del Golfo o la Cina?”, è il ragionamento di Prodi.

Sotto accusa, nel libro di Pomicino (che in settimana ha violentemente battibeccato in tv con Antonio Di Pietro proprio sulla crisi della Prima Repubblica e il sistema tangentizio), anche la nostra classe imprenditoriale, che sta regalando ai foresti le eccellenze del Paese. “E’ il mercato, bellezza”, direbbe qualcuno, compreso Renzi. Ecco, se c’è un elemento nostalgico nelle parole dell’ex ministro del Bilancio è la voglia di tornare a fare politica economica. Più Stato, meno mercato: “Solo così – dice – si può progettare il futuro di una nazione. Altrimenti accontentiamoci di quel poco, o nulla, che abbiamo”.



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