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La guerra in Libia, i diritti e i doveri dell’Italia

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A meno di 500 chilometri da noi, giusto al di là del Mediterraneo, in un territorio dilaniato da anni di guerra civile, ci sono 48 miliardi di barili di petrolio: le maggiori riserve dell’intero continente africano, irraggiungibili dal 2011.
Laggiù gli europei hanno un lavoro lasciato a metà. Dopo aver aiutato il popolo libico a sbarazzarsi di un tiranno, se ne sono andati, abbandonando il Paese allo sbando e lasciando campo libero a un magmatico mosaico di tribù ognuna alternativamente alleata o in guerra con ciascuna delle altre.
Di questa situazione – come previsto – ha approfittato l’Isis che non ha mai mancato di espandersi nei territori dove non esiste autorità statale riconosciuta. Qui Ansar al-Sharia – questo il brand locale del Califfato – ha stretto alleanze con alcune tribù e ne ha cacciato altre guadagnando il controllo delle coste da Sirte ad Bin Jawad e da Derna ad Al Bayyadah.

La penetrazione dell’autoproclamatosi Stato islamico fra popolazioni stremate da anni di guerre civili è frutto tanto di un sapiente marketing multimediale quanto della promessa di un ritorno all’ordine sotto l’autorità di uno Stato centrale.
In Libia, Isis è riuscito a radicarsi in modo così efficace da arrivare a portare qui i suoi centri di comando trasferendoli dai territori fra la Siria e l’Iraq dove ora la pressione militare si sta facendo insostenibile. Negli ultimi giorni, infatti, gli eserciti Iracheno e siriano sul territorio e gli attacchi aerei – soprattutto russi, francesi e americani, anche se tuttora poco coordinati fra loro – sono riusciti a espugnare aree chiave. Ramadi è stata riconquistata dall’esercito iracheno coadiuvato da tribù sunnite. La diga di Tishreen a ovest di Raqqa è ora sotto il controllo delle truppe siriane che hanno così tagliato una delle principali vie di rifornimento di petrolio fra lo Stato islamico e la Turchia. I siriani stanno contemporaneamente riconquistando il controllo dell’area di Manbij, uno snodo critico per i foreign fighter che vogliono unirsi ai terroristi. Intanto, nel nordest della Siria, le forze siriano-kurde continuano l’offensiva costringendo Isis a lanciare attacchi diversivi al di fuori delle aree urbane in Iraq e in Siria allo scopo, rispettivamente, di disperdere il fronte delle forze irachene e di aumentare il proprio coinvolgimento nella guerra civile siriana.

Sul versante libico, invece, l’Isis è all’attacco. Anche se, fino ad ora, nessuno snodo cruciale dell’infrastruttura petrolifera in terra libica è caduto pienamente sotto il controllo dei terroristi, la conquista della città costiera di Ben Jawad minaccia seriamente l’adiacente terminale petrolifero di As Sidr dove sono già stati lanciati attacchi con auto-bomba suicide per testarne le difese. Il terminale si trova nel cuore della “mezzaluna petrolifera”: il tratto di costa fra Bengasi e Sirte da dove si è propagato il primo nucleo Daesh all’esterno del medio oriente. Gli ultimi movimenti di truppe mostrano che ora la spinta terroristica si concentra da Sirte verso est nell’area della mezzaluna ancora fuori dal proprio controllo. Questa include diversi porti ed infrastrutture petrolifere come quelle nella città di Ras Lanuf – a soli 18 chilometri da As Sidr – dove poche settimane fa i terroristi sono riusciti a incendiare gli stoccaggi di petrolio (equivalenti a 400mila barili) pronti per l’esportazione.

Queste azioni rendono evidente che il Califfato sta puntando al controllo dell’infrastruttura petrolifera libica, anche se non è ancora chiaro come possano pensare di sfruttarla come sono riusciti a fare in Siria, dove hanno ottenuto enormi quantità di denaro contrabbandando petrolio verso la solo formalmente nemica Turchia.
Le principali riserve libiche si trovano nell’offshore di Tripoli (i campi di Bouri e Bahr es Salam), e nell’entroterra nei campi di Bu Attifel e Rimal (300 chilometri a sud di Derna), El Feel Al Wafa e Ghadamis (tutti in prossimità dei confine algerino). I giacimenti di gas si trovano principalmente nell’offshore a Bahr Essalam, collegato con condotte sottomarine all’impianto di trattamento costiero di Mellitah, e nell’entroterra nel campo di Wafa, anch’esso collegato con un gasdotto di 500 chilometri a Mellitah. Da qui parte Greenstream, una delle principali arterie dell’Europa e il più lungo gasdotto sottomarino del mMediterraneo. 520 chilometri fino al terminale di ricevimento di Gela, attraversando una profondità massima di 1127 metri. Il gasdotto, inclusa la stazione di compressione di Mellitah e quella di ricevimento di Gela, è stato interamente realizzato da Saipem, gruppo Eni, e può trasportare fino a 8 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno.

Per il momento tutti i pozzi e le infrastrutture principali sono sotto controllo e difese dalle milizie locali. Ma la produzione è tornata ai minimi del 2011, un quarto dei valori raggiunti dieci anni fa, e si segnala l’arrivo di bande dall’area del Sahel pronte a unirsi al califfato.
Nel frattempo, molti indizi fanno pensare che sia imminente l’inizio di una azione militare contro Isis in Libia. Il ministro della Difesa Pinotti, ribadendo che non sono previste azioni belliche italiane, conclude con un esplicito: “non possiamo immaginarci di far passare la primavera con una situazione libica ancora in stallo”. Viene confermata la presenza sul campo di forze speciali di Stati Uniti, Regno Unito e Francia, per ora allo scopo di “addestrare e consigliare le truppe locali”. La loro azione “didattica” si estende dalle forze fedeli a Tobruk e al generale Khalifa Haftar alle milizie di Misurata. Nei giorni scorsi una fuga di notizie, probabilmente pilotata, ha permesso al New York Times di pubblicare indizi sui piani di attacco: blitz aerei sulle basi militari di Isis, in particolare Sirte, abbinate a incursioni localizzate di forze speciali su obiettivi specifici. Per il momento si parla di un intervento militare internazionale prolungato nel tempo ma che coinvolgerebbe un numero limitato di specialisti in missioni puntuali di attacco e ritirata. In questo caso le operazioni dovrebbero partire da Sigonella e Trapani, oltre che dalle basi presenti a Bengasi e Tobruk.

Le forze speciali italiane pronte all’impiego sono i paracadutisti della Folgore, che da tempo si stanno addestrando per un’emergenza in Libia, e i marò della brigata San Marco. Questi sarebbero supportati da cacciabombardieri AMX, aerei C130 per il trasporto di mezzi e truppe sotto la protezione dei nostri elicotteri. Intanto, i droni Predator della base pugliese di Amendola sorvolano il territorio libico e la Marina Militare si trova già in azione con le navi dell’operazione Mare Sicuro a protezione degli interessi nazionali: le piattaforme off-shore Eni ed il gasdotto Greenstream.
È ora indispensabile consentire al nuovo governo di riconciliazione nazionale guidato da Fayez al-Sarraj di insediarsi e prendere il potere a Tripoli per iniziare a ricostruire le strutture statali e alleviare il dramma in cui vive la popolazione. È vitale non fargli mancare il supporto della comunità internazionale lasciando di nuovo il lavoro metà, provocando un nuovo collasso e il ritorno all’anarchia. Ma la capacità dello Stato Islamico di conquistare, difendere e – soprattutto – rimettere in produzione i siti petroliferi libici, riguadagnando l’enorme flusso di denaro necessario per finanziare la sua guerra, dipende solo da chi vorrà impedirglielo.

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