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Sala, Parisi, Marchini, Lettieri. Addio ai partiti?

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Sala, Parisi, Marchini, Lettieri… Eccola la società civile. Ecco la certificazione della fine dei partiti politici. L’onda lunga dell’antipolitica, del “partito personale”, della rottamazione delle culture politiche ha prodotto l’emersione di un nuovo “notabilato”. Gli oligarchi agonizzanti, incapaci di rimettere insieme i cocci, si rivolgono disperatamente a quanti ritengono di avere le carte in regola per guidare piccole e grandi città.

E’ questo l’epilogo della “rivoluzione italiana” – la più farlocca e carnevalesca delle rivoluzioni possibili – cominciata agli albori degli anni Novanta e conclusasi nel grottesco due decenni dopo. Restano sul campo sofferenze personali e collettive: nessuno sa più per chi votare e per che cosa votare. In questo vuoto – di progetti, valori, ideali, prospettive e mettiamoci anche di utopie – sguazzano piazzisti di dubbia capacità politica, improvvisati giocolieri di un parlamentarismo rissoso ed inconcludente, agitatori privi di sentimenti animati soltanto da un velleitarismo narcisistico che li proietta sulla ribalta politica quali protagonisti di una pochade demagogica quale mai si era vista nella storia repubblicana.

E’ davvero sorprendente che i reduci dell’incarnazione delle ultime forme partitiche (o almeno ad esse somiglianti) si stiano dando un gran daffare per inventarsi candidature che nelle loro file non riescono proprio a trovare, A destra come a sinistra. Ed ancor più stupefacente è che gli stessi chiedano consensi per gente che non si è mai distinta per propensioni politiche verso questo o quello schieramento. Si mena scandalo di fronte alle burocrazie dominanti l’Unione europea, ma poi si fa di tutto perché le amministrazioni locali e la politica italiana in generale si burocratizzino mettendo il Paese nelle mani di manager, capacissimi di gestire qualsiasi cosa indubbiamente, ma assolutamente estranei alla politica che dovrebbe guidare processi decisionali ed inventarsi un qualche avvenire per le comunità che dovrebbero governare.

E questo è un handicap che favorisce la subalternità della politica alla tecnocrazia. Insomma, la costruzione del consenso, per la manifesta incapacità dei partiti, viene delegata a rispettabilissimi signori che rifiutano di identificarsi (anche quando in extremis mostrano il contrario) in un partito o in un’area. Lo gnosticismo è la loro ideologia: non gliene facciamo una colpa, beninteso, ma constatiamo come senza una visione “alternativa” qualsiasi candidatura è suscettibile di precarietà. Sala e Marchini, per esempio, sono due eccellenti rappresentanti della cosiddetta “società civile”, assolutamente titolati per rivestire diversi incarichi con successo, ma sembrano assolutamente intercambiabili per ciò che concerne la proposta politica della quale dovrebbero essere portatori. L’uno si potrebbe trovare al posto dell’altro, e viceversa. Non farebbe nessuna differenza. Ciò che gli si chiede è di amministrare due grandi città. Ma come? Ecco la politica che non soccorre neppure il candidato più avveduto. Chi, infatti, non si identifica in una cultura di appartenenza difficilmente può inventarsi un “modello”. Proprio ciò che è mancato negli ultimi anni.

I modelli un tempo li costruivano i partiti. Non fuoriuscivano dagli alambicchi delle oligarchie finanziarie, economiche ed editoriali. Men che meno erano il prodotto di improvvisazioni settarie irriguardose perfino per l’intelligenza dei cittadini. La fine dei partiti ha provocato lo smarrimento politico nel quale, che lo si ammetta o meno, l’Italia si dibatte senza trovare il bandolo della matassa.

Il “partito personale” sembrava dovesse colmare il vuoto lasciato dai partiti tradizionali dopo Tangentopoli. S’è visto che fine ha fatto, grazie anche alle leggi elettorali che hanno prodotto la più inadeguata classe politica del dopoguerra. Ed ora, brancolando nel buio, i responsabili di tanto sfacelo si riuniscono in sempre più piccole e settarie conventicole alla ricerca del candidato che faccia perdere l’altro. Ecco la differenza rispetto al passato: una volta si cercava la persona giusta che poteva portare alla vittoria determinate idee, una concezione di società, alcuni valori ritenuti a torto o a ragione fondamentali, irrinunciabili. Erano i partiti, soprattutto se coadiuvati da laboratori di idee, da intellettuali non estranei alle istanze popolari, che segnavano il tempo della società civile. Ne sentiamo la mancanza. Con nostalgia.


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