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Storia (e miserie) del maxi debito di Roma

Quinto articolo di una serie di approfondimenti. Il primo articolo si può leggere qui, il secondo quiil terzo qui e il quarto qui

In genere vi sono modi diversi per risolvere il problema delle risorse insufficienti, per far fronte ai bisogni di gran lunga superiori. Razionalizzare al massimo la struttura organizzativa. Accrescere la produttività dei propri dipendenti. Ricercare nuove entrate, specie se si dispone del potere impositivo. Fare debiti. Per anni ed anni la scelta dei dirigenti romani ha coinciso con gli ultimi due suggerimenti: tasse e debiti. Quanto al resto, tutto alla deriva. Affitti relativi al proprio patrimonio immobiliare non richiesti. Dismissioni degli asset avvenute violentando il mercato. Perdite delle società controllate ripianate a piè di lista.

Il debito è stato, invece, la grande leva che ha permesso, negli anni passati, di poter disporre di notevoli entrate aggiuntive. Disponibilità di cassa che hanno consentito di rinviare nel tempo scelte dolorose e presentare ai propri elettori bilanci immaginifici. Roma come grande città della cultura: festival del cinema e concerti. Roma che cresce ad un ritmo maggiore del resto d’Italia. Roma città inclusiva e solidale. Tutto giusto. Tanto a pagare tutto ciò si sarebbe sempre stato tempo. Errore. Alla fine i tanti nodi sono venuti al pettine, costringendo lo Stato centrale ad intervenire drasticamente. Pena il default della Capitale.

Di chi la responsabilità? Come spesso capita di “tutti e di nessuno”. Nel 2015, un giornalista diligente, come Gianni Dragoni, cercò, sulle pagine del Sole 24 ore, di sbrogliare questa intricata matassa. Andando a ritroso nel tempo tirò fuori i seguenti numeri. Durante il regno di Francesco Rutelli il debito era aumentato di 892.937 euro al giorno, a partire dal 1993. Con Walter Veltroni questa dinamica era rallentata: 416.476 euro al giorno. Per poi riprendere con Gianni Alemanno: 450.160 euro giornalieri. Solo Ignazio Marino, ormai allo stremo da un punto di vista finanziario, era riuscito a contenerlo, con una riduzione di 12.987 euro al giorno.

Immediate le proteste dei diretti interessati. Francesco Rutelli, con una lettera allo stesso giornale, contestò in radice il metodo seguito, ricordando i successi del suo doppio mandato. Al posto di Veltroni, rispose Marco Causi, assessore al bilancio di quella Giunta. La lievitazione del debito durante quegli anni non era stato il riflesso di una gestione finanziaria allegra, ma delle inadempienze della Regione, guidata da Francesco Storace. Si era trattenuto illegalmente quasi 1 miliardo di euro: 738 milioni per il trasporto locale, 268 per la scuola e l’assistenza. Per il resto, silenzio assoluto.

Difficile dire chi avesse ragione. Del resto gli stessi Ispettori della Ragioneria generale, chiamati al capezzale del malato, non sono riusciti a venirne a capo. Nella relazioni finale si sono limitati a certificare l’esistenza di un debito ingente, quantificato in 9,571 miliardi. Cifra ancora indicativa. Dal 2008 al 2011 quel dato ballerà come un flipper impazzito: 12,239 miliardi nel 2010; 10,064 solo quattro mesi dopo. Per giungere alla fine all’importo di 9,618 miliardi, grazie anche ai finanziamenti del Ministero dell’economia. A dimostrazione di quanto sia cocente il disordine sotto il cielo di Roma.

Di fronte ad un disastro annunciato, lo Stato centrale non poteva rimanere con le mani in mano. Fu così che il ministro Giulio Tremonti, seppure controvoglia e su pressione del sindaco Gianni Alemanno, fu costretto a costituire una sorta di “bad bank”. Ciò che l’Europa, oggi, stenta a concedere a Matteo Renzi ed al suo Ministro per l’economia. L’articolo 78 del decreto legge 112, del 2008, nominò il Sindaco di Roma “Commissario straordinario del Governo per la ricognizione della situazione economica finanziaria del comune e delle società ad esso collegate”. Veniva così creata un’amministrazione separata dal bilancio d’esercizio in cui confluivano “tutte le entrate di competenza e tutte le obbligazioni assunte alla data del 28 aprile 2008”. Compito del Commissario era quello di accertare l’ammontare del debito e presentare uno specifico piano di rientro. Nel frattempo veniva esclusa, per tutta la durata del regime commissariale, la “deliberazione del dissesto”. Il dato più inquietante.

Ci sono voluti mesi e mesi per giungere a definire con esattezza l’ammontare del debito, prima di arrivare, con il decreto legge 78 del 2010, a prevedere le modalità con cui farvi fronte. Nel frattempo la Stato erogava 500 milioni di euro all’anno. Il Sindaco abbandonava la carica di Commissario ed al suo posto subentrava Massimo Varazzani. Il tutto tra proteste dell’opposizione di sinistra, ricorsi a Tar ed articoli al vetriolo dei giornali fiancheggiatori.

È interessante vedere quali fossero i rimedi proposti dal decreto per far fronte al debito accumulato. I costi dell’ammortamento venivano posti a carico del Tesoro – 300 milioni annui – e del Comune, per la restante parte di 200 milioni. In prima battuta era previsto un aumento dell’addizionale comunale sull’Irpef fino ad un massimo dello 0,4 per cento e il balzello di 1 euro sui diritti aeroportuali. Il Comune aveva, tuttavia, la possibilità di fare altrimenti. Poteva, ad esempio, applicare i costi standard per razionalizzare la spesa. Centralizzare gli acquisti per risparmiare. Liquidare le municipalizzate in perdita cronica. Ridurre il compenso degli amministratori. Introdurre un contributo di soggiorno a carico dei non residenti. Pretendere maggiori oneri d’urbanizzazione o più soldi dalla concessione degli spazi pubblicitari. Maggiorare l’aliquota di imposta sulle seconde case. Giungere, perfino, a colpire i defunti, con maggiorazioni delle concessioni cimiteriali.

Consigli non richiesti. E del resto non seguiti. Meglio abbandonarsi al lento trascorrere del tempo ed al maturare di nuovi interessi. Il check-up definitivo sarà fornito da Varazzani, prima di lasciare definitivamente la carica, nella relazione al Parlamento. Si scopre, così, che di fronte ad un debito iniziale di poco più di 10 miliardi (quota capitale) bisogna sommare una robusta quota di interessi: quasi 7 per gli interessi sui vecchi mutui, quindi, altri 6 per aver scontato presso le banche annualità future per 15 miliardi. Se poi si tiene conto delle somme pagate dal Tesoro, il totale supera i 25 miliardi. Ad una quota costante d’ammortamento di 500 milioni l’anno ci vorranno più o meno 50 per venirne a capo. A carico di nonni, padri e nipoti.

Ma non finisce qui. Nel frattempo il Comune faceva nuovo debito. Al 31 dicembre 2015 quest’ultimo può essere valutato in 2,7 miliardi, oltre quello della “bad bank”. Vale a dire la Gestione commissariale. Di cui 853 milioni scoperti in questi ultimi mesi: conseguenza della normalizzazione contabile, voluta dal Governo per tutti i Comuni d’Italia. Somme dovute, in larga misura, a quei crediti inesigibili che la Relazione degli Ispettori della Ragioneria, come abbiamo scritto in precedenza, aveva già evidenziato. Nessun problema: avrebbe detto l’assessore al bilancio di Ignazio Marino, Silvia Scozzese, prima di lasciare l’incarico per trasferirsi al posto di Varrazzani: “lo pagheremo in 30 anni”. Con una rata di 28 milioni. L’equivalente delle entrate per gli affitti. Beata incoscienza.

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