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Vi racconto come si spendono i soldi dei cittadini di Roma

Francia

Sesto articolo di una serie di approfondimenti. Il primo articolo si può leggere qui, il secondo qui il quarto qui e  il quinto qui.

Come sono spesi i soldi dei contribuenti romani? L’interrogativo merita una qualche risposta, considerando che al gravoso carico fiscale nazionale si somma un piccolo surplus locale, che equivale ad oltre il 4 per cento del reddito imponibile. Per avere un termine di paragone si consideri che l’eventuale aumento dell’IVA, per il 2017, ne vale appena la metà. A fronte di entrate pari a 5 miliardi scarsi, contro i 6,5 di Milano, il 95 per cento della spesa di Roma è “spesa corrente”: stipendi, acquisto di beni e servizi, trasferimenti, ripiano delle perdite delle municipalizzate – soprattutto l’Atac – e via dicendo. L’ultimo bilancio (2015) segna una previsione di spesa per gli investimenti addirittura ridicola: 223 milioni. Milano, tanto per fare un esempio, spende per le stesse ragioni 3,6 miliardi, sedici volte tanto: il 54 per cento del suo totale.

Per la verità non è stato sempre così. Nel quinquennio 2010 – 2015, stando almeno ai preventivi, la spesa per investimenti era stata pari, in media, a poco più di 800 milioni. Nello stesso periodo, Milano spendeva più di 2 miliardi. Solo, si fa per dire, due volte e mezzo. Il 16 per cento del bilancio, a Roma; contro il 40, di Milano. Il crollo del 2015 fu la risposta di Ignazio Marino alla crisi finanziaria del Comune. Bisognava trovare le risorse necessarie per far fronte alle crescenti spese di funzionamento ed ai debiti accumulati. La scelta meno problematica era quella di azzerare gli investimenti, nella speranza che lo Stato centrale, come poi è avvenuto, si sobbarcasse dell’onere del Giubileo della Misericordia. Con uno stanziamento (Decreto legge 185 del 2015) di 271 milioni: suddiviso tra Roma e la Regione Lazio; comprendendovi anche il maggior onere per il potenziamento della rete di sicurezza delle Forze dell’ordine.  

Una costante nella vita romana. La Via Olimpica – come abbiamo visto-  parte del progetto di piano regolatore del 1909, fu realizzata grazie ai soldi delle Olimpiadi del 1960. Fu quella la grande occasione per edificare il Palazzo dello sport, all’Eur; lo stadio Flaminio e quello del nuoto. Complessi originariamente costruiti sotto il regime fascista, ma distrutti dagli eventi bellici e quindi ristrutturati per ospitare i giochi. Nelle immediate vicinanze sorse il Palazzetto dello sport ed il complesso edilizio per ospitare gli atleti: il villaggio olimpico, poi trasformatosi in civili abitazioni.

Per i campionati mondiali di calcio del 1990, lo Stato spese 1.248 miliardi di lire, molto di più, ovviamente, di quanto preventivato all’inizio: l’incremento dei costi è stato calcolato nell‘84 per cento. Ma c’è chi parla di oltre 7 mila miliardi. A dimostrazione che in Italia le cifre sono sempre figlie di un padre sconosciuto. Solo una parte di quelle somme si persero per le vie di Roma. I maggiori sprechi si verificarono a Torino (stadio Delle Alpi) poi ceduto alla Juventus e a Bari ( lo stadio “San Nicola”), nonché a Napoli (stadio di San Paolo).  

Nella capitale tutti gli interventi ruotarono intorno allo stadio. Fu prevista, tra proteste e ricorsi al Tar, la copertura che ancora oggi, dopo il restauro del 2008, fa da tetto all’arena (spesa 200 miliardi rispetto agli 80 originariamente ipotizzati) . Furono quindi costruite due stazioni ferroviarie (Vigna Clara e Farneto): un monumento al nulla. Operarono, tra “orrori” di progettazione ed inutile spreco di risorse (oltre 90 miliardi di lire), solo per pochi giorni. Dovevano collegare lo stadio alla stazione di Roma Tiburtina, per consentire il massiccio afflusso dei tifosi. Finita l’euforia del calcio, furono abbandonate a sé stesse. Si dice che a distanza di oltre 30 anni la stazione di Vigna Clara sarà recuperata da FFSS. per essere inserita, nel 2016, nel futuro “anello ferroviario”.  Vedremo.

Sorte leggermente migliore toccò all’Air terminal di  Via Ostiense: costo 350 miliardi di lire. Doveva collegare l’aeroporto con una zona relativamente centrale della città. Visse alcuni anni di vita magra, finché nel 2012 i relativi spazi commerciali, nel frattempo abbandonati per un’ecatombe di fallimenti, furono ceduti a Oscar Farinetti, con i suoi negozi di Eataly. Oggi quel che resta del grande progetto mussoliniano, edificato per rendere omaggio alla vista del Fürer, costituisce ancora un nodo ferroviario di una certa importanza. Da lì parte “Italo”: il treno ad alta velocità di NTV: la società fondata, tra gli altri, da Luca  Montezemolo e Diego Della Valle.

Il “ritorno” dei mondiali del ’90 per Roma fu modesto. La Capitale si rifece, con gli interessi, con il Grande  Giubileo del 2000. Imponente l’elenco delle opere che furono previste.  Restauro delle mura aureliane e porte di Roma, interventi sui palazzi storici, pedonalizzazione di Piazza del Popolo, avvio della costruzione della Teca dell’Ara Pacis, opere di manutenzione straordinaria delle ville storiche: Torlonia, Borghese, Carpegna, Doria – Panfili, Ada – Savoia; idem per i ponti sul Tevere; scavi e restauri dei Fori Imperiali e di Teatro Marcello; sistemazione dei Musei Capitolini, del Palazzo delle Esposizioni all’Eur e delle Scuderie del Quirinale; avvio della costruzione della terza corsia autostradale Roma – Fiumicino; rifacimento di molti tratti del Grande Raccordo Anulare; sottovia e tunnel, come il sottopasso di Castel Sant’Angelo; acquisto di autobus tram urbani ed extraurbani. Solo per citarne alcuni. Altre opere come l’Auditorium o il sottopasso di Nord-Ovest furono iniziate e terminate successivamente. Il tutto per investimenti pari a circa 3 miliardi di euro.

Il successo del Grande Giubileo – il 96 per cento delle opere realizzate, giura Francesco Rutelli – tracciò una strada. Delle sorti della sua Capitale lo Stato centrale poteva pure dimenticarsi. Ma alla fine doveva pagare un conto: il più delle volte salato. Lo si vide chiaramente con i mondiali di nuoto del 2009, che resta un monumento alla totale idiozia amministrativa. Tre dovevano essere le opere pubbliche fondamentali. La città dello sport, nei pressi dell’Università di Tor Vergata, il polo natatorio di Ostia e quello di Valco San Paolo, sull’ansa del Tevere, presso il quartiere Ostiense. Le maggiori ambizioni riguardavano il primo progetto. Intervento di un prestigioso  ingegnere – architetto: lo spagnolo Santiago Calatrava. Un disegno avveniristico a forma di vela che si staglia nel cielo. Una complessa infrastrutturazione dell’intera area prescelta: metropolitana leggera, esproprio dei terreni per realizzare un grande parco e via dicendo. Nulla di tutto ciò è stato realizzato ed ora i resti di “quello che voleva essere ma non è stato” inquinano il paesaggio. Dei costi – o meglio dei denari pubblici buttati – nemmeno parlarne: costo iniziale della “vela” 240 milioni, ma oggi ce ne vogliono più di 600 per completare un manufatto che sta marcendo. Per Ostia e Valco San Paolo solo – si fa per dire – 42 milioni. Si spera nella prossima Olimpiade del 2024.

Panorama sconfortante, sebbene incompleto. Che non si potesse andare avanti, facendo solo ricorso alla speranza di eventi eccezionali, come quelli richiamati, era chiaro fin dagli inizi degli anni ’90. Epoca che segna l’inizio della “policy nazionale per Roma Capitale”. Dieci anni prima la sua definitiva consacrazione nell’articolo 114, comma 3 della Costituzione riformata dall’introduzione del nuovo Titolo V. Da quella data al 2007, secondo calcoli attendibili, per Roma sono stati stanziati, dalle varie “leggi finanziarie” circa 2,078 miliardi di euro (linea C della metropolitana, completamento del Grande Raccordo Anulare, sviluppo di alcune strade statali). Poi più nulla, salvo i normali finanziamenti della “legge obiettivo”, che non vale solo per la Capitale.

O meglio: più nulla per alimentare gli investimenti per le infrastrutture, ma ancora soldi, come abbiamo visto, per evitare il possibile default dell’Amministrazione comunale a causa dell’alto debito accumulato. Per il momento il quadro fornito non dà adito a dubbi. I denari a disposizione di una capitale grande come Roma che, nel panorama europeo, ha la dimensione già descritta sono stati sempre al di sotto del minimo sindacale. Ed è forse anche questa una delle ragioni per cui i suoi Amministratori hanno fallito.  “Senza soldi – dice un antico proverbio – non si cantano messe”. Ma nel caso di Roma siamo di fronte ad un vero e proprio corto circuito. La pochezza della sua classe dirigente non ha trovato un’audience adeguata presso gli Organi dello Stato Centrale. Ma questo scarso interesse, visto lo stato comatoso della sua amministrazione, era, purtroppo, più che giustificato.      

(6/continua)

 


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