Ogni epoca storica ha le sue sfide etiche. In ogni tempo, difatti, si sono praticate e verificate forme di sfruttamento di alcune persone umane da parte di altre. Prima del Cristianesimo, nella Grecia antica e a Roma, era praticata la schiavitù legale, giustificata in nome di disuguaglianze naturali che avrebbero distinto e predestinato alcuni cittadini a essere padroni intelligenti liberi di servi sciocchi e sfruttati. In seguito forme diverse ma altrettanto radicali di sottomissione dell’altro a specifici interessi si sono ripresentate di continuo: discriminazioni sessuali, razziali e così via.
Un dato è certo: il Cristianesimo, con la sua idea universale di persona immortale, individuale e razionale, ha aperto la porta al riconoscimento del valore sacro di ogni vita umana. Questo è vero, sebbene la storia dimostri che la realizzazione pratica e giuridica di questa forma primogenita e originaria di uguaglianza ha impiegato tanto tempo per superare i dimorfismi sociali esistenti tra maschi e femmine, riuscendo ad attenuare solo in parte l’ingiusta supremazia di alcune persone su altre, determinata dalla classe sociale o dalla fortuna individuale.
Le nostre società evolute riconoscono formalmente e positivamente la pari dignità delle persone, anche se attualmente si sono incrementate nuove modalità di derubricazione del prossimo, come lo sfruttamento del lavoro, i femminicidi o la violenza sui minori, che possono arrivare a decretare perfino la morte legalizzata e normalizzata di altri esseri umani, come l’aborto o la pena di morte. La giustificazione risiede in una logica puramente libertaria dei diritti, identificati con la crescita illimitata delle volontà soggettive, concepite come entità prive di una natura propria: una visione unilaterale accompagnata con una cancellazione tacita dell’eguaglianza dovuta ad altri soggetti più deboli, come i feti o i malati gravi.
Negli ultimi tempi un’ultima grande sfida è comparsa all’orizzonte: il diritto ad avere una paternità o maternità da parte di coppie omosessuali e non, le quali, non essendo idonee per natura, ricorrono alla cosiddetta generazione surrogata, vale a dire alla pratica dell’utero in affitto.
L’articolo di Rossana Miranda, uscito ieri qui su Formiche.net, mette bene in luce l’enorme portata di questo ‘business del desiderio’, inseguendo il quale si alimenta la speranza di coppie cui è messa a disposizione da aziende specializzate un’offerta varia ed ampia di uteri femminili, con tanto di catalogo di donne disponibili, per supplire appunto ad una maternità o paternità altrimenti impossibile.
Che valutazione dare di questo fenomeno? Si tratta di una conquista della libertà, oppure di una violazione di un diritto umano?
La prima osservazione da fare riguarda proprio il lato economico della questione, dove vige un principio solenne: si possono commerciare e vendere soltanto beni non umani. In nessun modo, infatti, è possibile aprire la compravendita di materiale antropico, senza trasformare consapevolmente o no un’altra persona in merce. Tutto ciò vale per la contrattazione di organi; e, ancor più, vale per l’acquisto dell’utero o di bambini.
E’ una civiltà evoluta quella che legalizza e legittima la creazione di una genitorialità tecnocratica, attraverso l’uso economico del corpo di altre persone, applicando la logica della compravendita? A ben vedere no. Tutto ciò è unicamente una violazione composita della dignità di persone deboli e inermi da parte di altre facoltose e potenti, ottenuta con la creazione di una nuova e più subdola speculazione: lo schiavismo dell’utero.
Se oltrepassiamo poi questo primo livello economico, scopriamo delle contraddizioni molto più profonde che si accompagnano alla spregiudicata rivendicazione di questi presunti diritti.
Per capirlo bisogna soffermarsi un momento su cosa significhi realmente “essere persone”.
Un individuo è umano solo se possiede le caratteristiche che sono proprie della sua specie: ha un corpo di un certo tipo; una biologia peculiare; una soggettività razionale e volitiva. Queste tre caratteristiche sono universali, riguardano tutta la specie, e danno a tutti gli individui umani lo statuto del loro essere appunto persone. Perciò le persone in nome della propria natura, corporea e razionale, sono anche libere: vale a dire possono autodeterminarsi per raggiungere se stesse, arrivando a poter perfino trasgredire e corrompere la propria stessa natura, se lo vogliono e gli è concesso farlo.
In realtà, proprio perché “naturalmente” libere, le persone umane hanno non soltanto diritti di libertà, ma anche doveri verso la natura umana, propria e altrui. Non basta volere una cosa per poterla avere in modo umano. Non basta voler fare una cosa per avere il diritto di farla. Desiderare un bambino è normale. Volerlo avere anche a costo di trasformare la generazione in creazione, che si perpetra a danno di terzi e usando l’utero di altre donne, è letteralmente abominevole. Concederlo legalmente è una folle illegalità.
L’utero non è un’incubatrice o un garage: è una parte del corpo di una donna. E un bambino non è un diritto in mano ad altre persone. Il problema di un genitore naturale qualsiasi, infatti, è sempre quello di non considerare un figlio se non per quello che è: un altro essere umano, il cui fine è distinto dalla propria volontà e verso cui si hanno solo doveri. Su un figlio un genitore non deve fare un proprio progetto, ma aiutare la crescita della sua specifica personalità, correggendo la tendenza a corrompersi e perdersi, che è in ciascuno di noi.
Dietro questa violenza manipolatoria esatta, pertanto, si nasconde un delirio etico, causato da una concezione schiavista e strumentale delle altre persone, finalizzato al solo soddisfacimento di una propria egoistica e incontenibile volontà individuale.
Non importano i singoli casi di attori o politici. E’ così per tutti. Si lavora per legittimare sotto forma di “nuovi diritti” un padronato soggettivo che corre il rischio oltretutto di alterare l’essenza della natura umana, la quale è fatta così, indipendentemente dalla libertà di chi è più ricco o più povero, di quello che uno vuole o non vuole.
Tutto questo ragionamento si può riassumere semplicemente dicendo che la maternità surrogata è il razzismo del nostro tempo, un fenomeno di degradazione umana dell’umano, esercitato dai forti sui deboli: l’abuso spregiudicato di chi si preoccupa esclusivamente di se stesso, infischiandosene delle conseguenze, senza la minima coscienza del dovere che gli altri impongono alla propria libertà. Una tappa certa verso l’ignoto, un sicuro passo verso l’ingiustizia.