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L’Italia in Libia: i piani di Renzi, i corpi speciali e i Servizi

Palazzo Chigi dà uno “stop netto” alle voci stampa che riguardano “irresponsabili accelerazioni” su azioni militari in Libia: è una risposta diretta ad una serie di piani, spesso confusi tra loro, che sono usciti in questi giorni.

SERVIZI E FORZE SPECIALI

La principale di queste indiscrezioni è piuttosto chiara e specifica: l’Italia invierà in Libia nei prossimi giorni (o forse è già arrivato) un contingente di forze speciali che sarà guidato da tre team di agenti dei servizi segreti esteri (Aise), i quali si trovano già sul posto e hanno già avviato i necessari contatti di intelligence, come ha scritto il Corriere della Sera. Una situazione che a questo punto è data da varie fonti per assodata, simile a quella con cui sono impegnati altri alleati occidentali, diffusa inizialmente dal Corriere della Sera giovedì, uscita poche ora prima che si uscissero le informazioni in merito all’uccisione di due dei quattro tecnici italiani rapiti lo scorso luglioGli altri due ostaggi invece sono stati liberati.

LA PIANIFICAZIONE ESCLUSIVA ITALIANA

La pianificazione militare in corso per un’azione in Libia va distinta su due livelli: il primo è tutto italiano, e prevede l’invio di quel contingente ristretto composto da 50 operatori del Col Moschin (forze speciali dell’esercito) coadiuvati dai tre team di agenti dei servizi segreti esteri formati da 12 persone ognuno, già in loco. Saranno schierati in aree di interesse nazionale: le zone petrolifere, Mellitah dove si trova il terminal Eni e Sabrata, che saranno oggetto di attività di sicurezza; a Misurata invece, dove l’Italia mantiene rapporti di collaborazione (sono, se non gli unici, i principali referenti libici di Roma), si pensa che gli operatori andranno a consolidare i rapporti per aprire il campo ad un eventuale invio di truppe più corposo; a Zuwara, città del traffico di persone, avranno presumibilmente il compito di controllare e bloccare i trafficanti.

IL DECRETO CHE GESTISCE LE OPERAZIONI

Il Corriere della Sera e il Sole 24 Ore hanno diffuso giovedì scorso anche i dettagli di un Dpcm (Decreto del presidente del consiglio dei ministri) esecutivo dal 10 febbraio, nei cui cinque articoli vengono delineati i paletti della missione. La guida sarà affidata al Dis, il Dipartimento per la Sicurezza diretto da Giampiero Massolo a cui fanno capo i servizi di intelligence interna (Aisi) ed estera (Aise), questi ultimi, come detto, saranno i referenti diretti sul campo. Così facendo il premier Matteo Renzi si è intestato il comando dell’intera operazione, dato che il Dis dipende direttamente dalla Presidenza del Consiglio. Questo tipo di via legislativa è resa possibile da un articolo del decreto stesso che prevede l’uso da parte dei servizi di unità di forze speciali assegnati di volta in volta per specifiche missioni (godendo per altro delle cosiddette “garanzie funzionali”, azioni dirette e immunità diplomatica, aspetto già inserito nel Decreto Missioni), e non richiede iter parlamentari, ma eventualmente solo un’informativa del governo: “Il Presidente del Consiglio, in presenza di situazioni di gravi crisi all’estero che richiedano provvedimenti eccezionali, avvalendosi del Dis, possa autorizzare l’Aise ad adottare misure di contrasto e di intelligence anche con la collaborazione tecnica e operativa della forze speciali della Difesa” è quanto riporta il testo secondo un articolo di Gerardo Pelosi sul Sole 24 Ore

L’INTERVENTO INTERNAZIONALE

Altro piano è invece l’intervento internazionale, che è già in divenire ma ancora non operativo. Circolano da tempi numeri (il primo a farli fu il Times, che parlò di 5mila soldati) che prevedono un minimo di 3mila unità fino ad un massimo di 7mila: di questi circa un terzo saranno italiani (probabilmente del reggimento anfibio “San Marco”, che potrebbe far base nella portaelicotteri “San Giorgio” già al largo della Libia, e i parà dei Carabinieri del “Tuscania”). Secondo Repubblica saranno i militari italiani ad occuparsi dell’intera fase iniziale del piano, che prevede di prendere postazione in un aeroporto affidabile che possa far da scalo per il contingente. Repubblica aggiunge che “l’unico punto certo è la struttura che la guiderà: il comando mobile della divisione Acqui, erede dei martiri di Cefalonia”. Il comando mobile aviotrasportabile sarebbe già in preparazione all’aeroporto romano di Centocelle, centro nevralgico di tutte le missioni italiane all’estero. Secondo indiscrezioni uscite nei giorni scorsi dovrebbe essere diretto dal generale Paolo Serra (già consulente militare delle Nazioni Unite), e dovrebbe gestire tutte le forze di una coalizione di volonterosi che sarà composta da eserciti europei (Inghilterra, Germania, Spagna, Olanda, forse Francia, e paesi minori), appoggiati dall’esterno dagli Stati Uniti.

IL CONTO ALLA ROVESCIA

Se è vero che è già iniziato da un po’ il conto alla rovescia per l’intervento militare in Libia, al di là dei freni del governo italiano, secondo alcuni osservatori la morte dei due tecnici della ditta Bonatti è un’accelerazione alle procedure di invio di un contingente internazionale e calca la mano sull’urgenza ai vari governi occidentali coinvolti, sottolineando contemporaneamente, semmai ce ne fosse bisogno, tutte le difficoltà che i militari si troveranno davanti: milizie incontrollabili, criminalità endemica, mancanza di un referente unico, infiltrazione delle Stato islamico nel tessuto sociale. Per gli Stati Uniti la Libia è una ferita aperta: Washington ha provato i rischi sulla propria pelle quando nel 2012 fu ucciso il console Cristohper Stevens a Bengasi, e per questo si sta portando avanti con il lavoro (operazioni clandestine, bombardamenti mirati come quello del 19 febbraio), ma vuole evitare troppi coinvolgimenti. In un’intervista concessa due giorni fa al Corriere della Sera, l’ambasciatore americano in Italia John Phillips ha ribadito un messaggio già noto: gli Stati Uniti sono pronti a lasciare il ruolo di guida di un intervento massiccio in Libia all’Italia – ad inizio settimana anche il segretario alla Difesa Ash Carter aveva espresso una posizione simile. L’ambasciatore ha suggerito che l’Italia mettesse a disposizione almeno 5mila soldati in Libia, e forse anche per questo il governo di Roma si è sentito in dovere di tirare il freno sull’azione, con la nota informale di ieri sera. Dal canto loro gli Stati Uniti di certo metteranno a disposizione intelligence già sul campo e copertura aerea, e per questo il ruolo della base siciliana di Sigonella sarà centrale.

IL NODO POLITICO

Ma una missione internazionale potrà essere possibile, secondo quasi tutti i paesi occidentali interessati, per prima l’Italia, soltanto sotto egida Onu. La benedizione delle Nazioni Unite arriverà però soltanto dopo la formazione di un governo di unità e concordia nazionale, cioè dopo l’instaurarsi di un interlocutore unico e affidabile, che possa concedere lasciapassare e appoggio per le truppe europee e americane. Al momento, invece, la formazione dell’esecutivo unitario sembra allontanarsi ancora e prendere una direzione di accordo “Libia-Libia” scavalcando i negoziatori dell’Onu: ci sarebbero colloqui non ufficiali in corso al Cairo tra il presidente del parlamento di Tobuk (che dovrà votare l’accordo) ed il primo ministro designato, che starebbero rivedendo addirittura i punti dell’accordo preliminare di unità firmato insieme all’inviato internazionale Martin Kobler in Marocco il 17 dicembre. Un processo non previsto dal testo stesso, e che si prevede lungo e difficoltoso: a tal proposito sono uscite anche informazioni in merito ad un ultimatum posto dall’Onu, che starebbe già cercando consensi tra i principali clan libici, e avrebbe fissato per fine mese la time-line per la messa in operatività dell’intesa di concordia.

GLI ALLEATI ITALIANI NON ASPETTANO

Sebbene la missione internazionale, quando sarà, dovrebbe essere guidata dall’Italia, è ormai appurato che unità speciali americane, francesi e inglesi siano operative in Libia. Commandos già dispiegati sul suolo libico per compiere operazioni a cavallo tra l’intelligence e le “killing mission“. Caccia americani hanno colpito Sabrata, scoperchiando una struttura locale dello Stato islamico che per lungo tempo era stata nascosta, protetta, collusa, con realtà cittadine sia islamiste sia criminali; altri aerei stanno martellando continuamente la costa ad est, tra Bengasi e Sirte, tanto che dei bombardamenti se ne perde il conto (tra chiame non verificabili dei locali), e si pensa siano francesi o egiziani aiutati dai francesi attraverso aerocisterna o reparti che si occupano di illuminare i bersagli da terra; venerdì la portaerei francese “Charles de Gaulle” è arrivata a largo della Libia per esercitazioni congiunte con l’Egitto, ma gli esperti concordano nel dire che si tratta di operazioni dirette contro l’IS come quelle gestite dalla base-navale nel Persico fino a pochi giorni fa. E ancora, inglesi, francesi e americani avrebbero organizzato un comando sinergico nella base di Benina, che si trova vicino a Bengasi ed è sotto il controllo di Tobruk, e questo complica le trattative per il futuro governo, come aveva ricordato l’analista Mattia Toaldo a Formiche.net. Inglesi e americani si troverebbero anche a Misurata, che farebbe da avamposto per team che si dovrebbero infiltrare a un passo dalle postazioni dell’IS a Sirte e indicare gli obiettivi da colpire. Tutte operazioni che per il momento non parlano italiano, e forse anche per tenere il passo degli alleati Roma ha deciso l’invio gli operatori gestiti dalla presidenza del Consiglio.


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