Comunque finirà (con Guido Bertolaso candidato di un centrodestra senza Lega o con un finale a sorpresa con Giorgia Meloni per tutta la coalizione), quello in atto viene visto ormai come uno “scontro Capitale” sulla leadership tra Matteo Salvini e Silvio Berlusconi.
La lite romana sulla designazione con il referendum alle “gazebarie” di sabato 12 e domenica 13, dalle quali il Carroccio giovedì 10 marzo si è clamorosamente sfilato, nonostante siano state fortissimamente volute da Berlusconi, rischia di diventare il detonatore che fa esplodere una guerra, andata avanti finora in sordina. Ovvero lo scontro sulla futura leadership del centrodestra tra l’arrembante leader leghista, forte dei risultati delle ultime elezioni regionali e dei sondaggi che lo danno a oltre il 14 per cento, quattro punti sopra FI, e l’ex premier che si muove sempre come leader indiscusso di tutto il centrodestra. E questo per una ragione che più che essere fondata sui numeri deriva dal suo ruolo “di federatore” in quanto rappresentante dell’”anima moderata”. Non a caso, per placare le resistenze di chi dentro Forza Italia non voleva che andasse sul palco leghista di Bologna nel novembre 2015 con il rischio di apparire come gregario di Salvini, Berlusconi disse ai suoi: “Tanto questi (Lega e Fratelli d’Italia, ndr) senza di me sono solo destra…”.
Ma le cose poi si sono via via complicate sempre di più. Tant’è che ora non manca chi tra gli azzurri renitenti al palco di Bologna in conversazioni private rivendica: “E’ la dimostrazione che Berlusconi non doveva partecipare a quella manifestazione”. Appare come un ricordo sbiadito ormai quell’incontro a Arcore del 23 giugno 2015, dopo il successo del Carroccio alle Regionali, in cui, come riportarono le cronache, Berlusconi con Salvini fu così accomodante da fargli balenare la possibilità di lasciargli la futura leadership della coalizione. Parole mai pronunciate ufficialmente ovviamente, ma neppure smentite. Probabilmente il Cav aveva messo nel conto che dopo gli exploit elettorali, la spinta propulsiva di Salvini a un certo punto si sarebbe bloccata. E ancora adesso, secondo una strategia del doppio binario (da un lato solida alleanza anche per non cedere voti al Carroccio, ma dall’altro consapevolezza che solo lui può fare da federatore) secondo i bene informati, Berlusconi la penserebbe in questo modo. E cioè che non può essere Salvini quel leader dei moderati che tanto va cercando.
Ma qualcosa a Roma è andato decisamente storto. E Salvini dopo che una ventina di giorni fa era parso dare un iniziale ok a Bertolaso, nel tardo pomeriggio di giovedì 10 marzo si è sfilato. Non è un semplice tirarsi dietro dalle gazebarie romane, allestite da FI in 140 punti della città, che dovrebbero incoronare l’ex capo della Protezione civile, ma il comunicato di “Noi con Salvini” suona come il rischio di una vera rottura. Tanto più che non è solo firmato dal coordinatore per Roma e il Lazio di “Ncs”, Gianmarco Centinaio, ma anche dal potente vicesegretario del Carroccio Giancarlo Giorgetti, il “Gianni Letta padano”. Lo scontro dalla Capitale potrebbe estendersi nel resto d’Italia. Un esponente leghista di rango è stato sentito dire: “A questo punto a parte gli accordi già fatti, qui rischia di saltare tutto”.
E tra le grandi città, l’accordo già fatto nel centrodestra finora è solo quello per candidare Stefano Parisi a Milano. Quindi se saltasse davvero tutto: ci sarebbe un candidato appoggiato solo dalla Lega anche a Napoli, Torino, se non nella stessa Roma? Anche se da tempo viene dato per fatto, ufficialmente non è stata chiusa l’intesa neppure sulla candidatura della leghista Lucia Borgonzoni a Bologna, per la quale i banchetti leghisti sono già pronti. Ma questa volta il Cav ha battuto il pugno sul tavolo a difesa di Bertolaso. Di più: in un’intervista al principale quotidiano della Capitale Il Messaggero, giovedì 10 marzo, ha detto che “Salvini è mal consigliato”. E’ questa l’accusa che avrebbe bruciato di più in casa leghista. Chi conosce abbastanza bene Berlusconi spiega a Formiche.net: “Il punto non è da chi sarebbe stato mal consigliato Salvini, il punto è che così il leader leghista è stato sminuito al livello di uno che non agisce da solo come un leader forte deve fare, ma si lascia consigliare e influenzare…”.
Un modo per mettere, insomma, Salvini sull’attenti e ricordargli che nel centrodestra il leader era e resta uno solo? Di certo, che tirasse aria di bufera lo si era già capito alcuni giorni fa quando esponenti leghisti di rango sono stati sentiti dire nel Transatlantico di Montecitorio: “Ma che consultazioni sono mai queste su Bertolaso? Dalle primarie siamo passati alle confermatarie? E perché non ci hanno ancora fatto vedere la scheda dove i romani dovranno esprimere il loro parere? Non è questo un modo leale di comportarsi tra alleati”. Proteste poi messe nero su bianco nella nota in cui “Noi con Salvini” si sfila fragorosamente dalle gazebarie. Che però sono ormai pronte. Anche se c’è chi legge nella mossa leghista il tentativo di costringere Berlusconi a convincere Meloni a scendere in campo come candidata con Bertolaso in un ruolo da city manager. Un modo, commentano però maliziosamente dentro Forza Italia, “per dimostrare che non è più Berlusconi a scegliere i candidati”.
Ma i leghisti contrattaccano e insistono fuori dal taccuino: “Se è Giorgia noi ci stiamo, ma il vero candidato competitivo con i Cinquestelle a Roma per noi era Alfio Marchini…”. Era e resta per i leghisti sempre “Arfio”? Gli accordi sottobanco con i grillini, per i quali comunque Salvini ha già detto che voterebbe al ballottaggio se dall’altra parte ci fosse il pd Roberto Giachetti, vengono liquidati nella Lega “come pura fantasia”. Anche se la portavoce di Berlusconi Deborah Bergamini dice che se Salvini “non fa chiarezza”, “si potrebbe davvero sospettare che l’accordo ci sia”.
Ma per i leghisti il fantasma del “Partito della Nazione” (ovvero una sorta di nuovo pentapartito dal Pd a Denis Verdini, Ncd, Scelta Civica e in futuro FI chissà…) e il rischio, come accade simmetricamente per la sinistra anti-renziana del Pd, di venir emarginati sul fronte destro, è il vero nemico da combattere, fino al punto di votare i Cinquestelle al ballottaggio. Tutta benzina sul fuoco dello “scontro Capitale” per la leadership del centrodestra.