Il terrore corre sulla linea Bruxelles-Parigi. Nella capitale belga le uova del drago si sono dischiuse; in quella francese i frutti dell’odio hanno dispiegato i loro veleni per ripiegare poi ancora nei covi trascurati dall’intelligence e dalle forze sicurezza che, come tutti ormai concordano, hanno mostrato, ben prima dei misfatti parigini, una sorta di indifferenza miope di fronte ai segni, che pur si erano manifestati, della propagazione jihadista. Immaginavano forse che il Regno non sarebbe stato colpito?
Dopo il 13 novembre dello scorso anno, appurato che il cuore criminale del terrorismo islamico era proprio a Bruxelles e nei suoi sobborghi, abbiamo assistito ad una scomposta corsa allo scopo di assicurarsi qualche oncia di gloria che pochi giorni fa sembrava finalmente acquisita. L’arresto di Abdeslam Salah, nascosto a pochi metri dalla sua abitazione a Molenbeek, aveva fatto impazzire di gioia gli investigatori che da quattro mesi gli davano la caccia. E neppure uno di loro è stato sfiorato dal sospetto che le uova del drago si erano nel frattempo dischiuse ed ancor più continueranno a dischiudersi non solo a Bruxelles o a Parigi, ma in tutta Europa fidando sulla mostruosa incapacità dei cacciatori di jihadisti a scovare per tempo i nidi dove le bestie covano.
E’ una storia che s’iscrive nell’ormai ponderoso dossier del suicidio europeo l’ennesima strage, rivendicata dall’organizzazione di Bakr al-Baghdadi che ha insanguinato la capitale politica dell’Unione. E se a Bruxelles si piange a Parigi si trema: Charlie Hebdo, Bataclan, Saint-Denis, supermercato kosher ed attentati vari (riusciti o meno) in poco più di un anno affollano le menti uscendo di casa, prendendo la metropolitana, recandosi all’aeroporto, in un ristorante o allo stadio. La Paura dilaga. E altrove s’insinua con il passare delle ore.
La guerra c’è, ma non la si vuole vedere. Figuriamoci se chi di dovere s’azzarda soltanto ad ipotizzare di combatterla. Dalla Libia al Daesh, sembra sentire nei Palazzi dell’Unione dove le esplosioni hanno seminato il panico, non è opportuno intervenire: i furbi e cinici criminali dell’Isis, di al Qaeda, di al Nusra, di Boko Haram, di Aqmi potrebbero scatenare una “guerra di difesa” dell’Islam coinvolgendo tutti i cosiddetti “moderati” musulmani contro l’Occidente. Così si dice nelle cancellerie europee e si sostiene da parte di molti commentatori. Intanto la macelleria jihadista lavora a pieno ritmo e per un Salah in galera se ne sgozzeranno tanti di europei e di africani e di asiatici e di americani per indurre all’impotenza chi dovrebbe agire e non ha neppure il coraggio di lanciare un’offensiva contro le tribù assoldate dal barbuto di Raqqa nella Libia disfatta da un paio di sedicenti statisti vanagloriosi a cui nessuno ha finora chiesto il conto della loro dabbenaggine e della loro ridicola volontà di potenza che avrebbero potuto scaricare su una sofisticata play station.
Ma no che non si fermano in Europa o in Turchia i jihadisti che vogliono trascinare in una provocazione globale il resto del mondo. Quanto è accaduto in Costa d’Avorio il 13 marzo scorso è sintomatico di una strategia offensiva senza confini. Lì, a quaranta chilometri da Abidjan, i terroristi di al Qaeda del Maghreb hanno voluto dimostrare, colpendo dal mare e dunque godendo di un’agibilità assoluta, di poter sfidare la sicurezza di uno Stato appena pacificato; per di più non lacerato da conflitti religiosi; far vedere al loro mondo di riferimento che con un’azione terroristica si può colpire uno dei motori economici della regione ed impadronirsene con relativa facilità; ribadire infine che è sempre un Paese europeo, la Francia, ad essere sfidato, posto che essa occupa un posto di rilievo nelle relazioni politiche, militari e commerciali con la Costa d’Avorio dove risiedono ben 18.000 cittadini di nazionalità francese.
Ecco, l’attentato a una nazione africana è stato un messaggio all’Europa ed all’Occidente. L’ennesimo. E non è stato compreso.
Comprenderanno i leader europei, finalmente, che a Bruxelles si è consumata un’altra azione di guerra? Certo, se ognuno degli Stati dell’Unione continua ad immaginare di salvarsi da solo, come sospettiamo abbia ritenuto il Belgio per lungo tempo non attivandosi per stroncare cellule terroristiche che stavano crescendo nell’indifferenza di tutti, c’è da temere che in tempi brevi si ripeterà lo scempio. Dove, nessuno può dirlo. Di sicuro non si sconfiggono l’Isis ed i suoi complici stando semplicemente “con il cuore e con la mente” a Bruxelles. Forse è venuto davvero il momento in cui l’Europa deve agire come un solo uomo colpendo decisamente dentro e fuori i propri confini, dovunque nidifica il Drago, prima che altre uova si dischiudano.