Una sorta di benedizione per Enrico Letta. Da parte del mondo del cattolicesimo democratico e dell’Ulivo. L’occasione l’ha offerta il nuovo numero della rivista politica Arel dedicata a Beniamino Andreatta. “Andreatta politico”, il titolo del volume del centro studi fondato proprio dall’ex ministro della Dc che ha in Letta il segretario generale.
In prima fila ieri accanto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e a Giorgio Napolitano c’era tutto lo stato maggiore dell’Ulivo che fu: Prodi, Bersani, Parisi, Bindi, Castagnetti, Gerardo Bianco, Treu, Augusto Fantozzi, Occhetto. Nell’aria l’antirenzismo si tagliava con il coltello. Anche se poi qualche renziano c’era. Come il ministro Marianna Madia, che però ha mosso i primi passi in politica proprio con Enrico Letta. O Anna Ascani, anch’essa passata dal lettismo al renzismo. Ma c’era anche un renziano ormai ultracritico come Matteo Richetti o esponenti della minoranza del Pd come Miguel Gotor. Ha fatto capolino, per qualche minuto, anche Pippo Civati.
Le stoccate all’attuale premier non sono mancate. Come quella dell’ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli. “Andreatta era un interlocutore scomodo, non certo un politico da storytelling…”, secondo il giornalista. Che poi si è detto sicuro del fatto che “questo Pd non sarebbe affatto piaciuto allo statista democristiano”. Poi è Letta nella sua relazione a menare fendenti: “Andreatta viveva i processi politici come comunità, c’era sempre una collettività di persone che lavoravano a un percorso comune: non era mai un percorso personale. Oggi invece c’è solo la leadership del singolo”, ha osservato l’ex premier. “C’era la teoria e c’era la pratica, c’era lo studio dei processi politici ed economici, oggi invece siamo alla banalizzazione del 140 caratteri”, ha continuato Letta. Il quale ha ricordato come Andreatta, pensando appunto alla politica come processo, parlava spesso di passaggio del testimone tra le generazioni: tra quella vecchia e quella nuova. Altro che rottamazione.
C’è nostalgia, in sala, per le sette lezioni politiche di Andreatta che oggi sembrano quasi un antidoto alla velocità imperante, all’ansia riformista che “non sta portando a nulla si buono”. “Oggi i corsi di formazione politica sembrano dei talk show, non si studia e non si approfondisce più nulla”, ha affermato de Bortoli. “Mentre le direzioni di partito sembrano comizi: non si discute più, si ascolta”, ha osservato Arturo Parisi.
Al di là della nostalgia e dell’antirenzismo, però, è evidente che sia Enrico Letta il nome su cui tanti puntano come antagonista al premier al prossimo congresso del Pd, che probabilmente si terrà nel 2017, un anno prima del voto (sempre che si vada a scadenza naturale di legislatura). Lui nicchia, si schernisce, parla del suo corso di studi a Parigi, interloquisce di politica internazionale, ma sa bene che a lui guarda non solo la vecchia guardia dell’Ulivo, ma anche la minoranza interna del Pd. Troppo debole Roberto Speranza per essere davvero l’antagonista a Renzi. Ci vuole uno di peso. E chi meglio dell’ex premier ancora giovane ma con quell’aria da professore invecchiato precocemente? “La fregatura che gli ha dato Renzi gli ha conferito una dote che prima non aveva: l’ha reso cattivo. E questo, in politica, serve sempre”, sussurra un ulivista della prima ora.
Ma come si coniugherà tutto ciò? Innanzitutto Enrico Letta e Romano Prodi gireranno l’Italia per presentare il volume su Andreatta. Prossimo appuntamento il 9 maggio, a Bologna. Poi altre città. E sarà in queste occasioni che i due potranno tastare con mano il grado di antirenzismo presente nel Paese. La seconda strada sarà una compagna sottotraccia da parte della vecchia guardia dell’Ulivo per il No al referendum costituzionale. Poi, se son rose, fioriranno. Ma da oggi sembra che la nobiltà del cattolicesimo democratico, che Renzi vanta sempre essere il suo timbro di fabbrica, abbia disconosciuto l’attuale premier.