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Libia, come e perché Serraj chiede aiuto all’Onu e all’Italia

Fayez Serraj, Libia, trenta

In un’intervista alla Stampa uscita lunedì 25 aprile il ministro della Difesa italiano Roberta Pinotti ha dichiarato che durante il vertice Nato di Varsavia in programma per il 7 luglio verrà reso operativo il piano per ricalibrare al Mediterraneo del sud, ossia alla rotta libica, la missione Nato Active Endeavor già attiva nell’Egeo per fronte all’immigrazione che dalla Turchia entra in Europa via Grecia.

GIÀ NEL LIBRO BIANCO

“Già con il Libro bianco avevamo individuato il Mediterraneo come il tema centrale per la sicurezza europea — ha detto Pinotti — e al vertice in Galles avevamo insistito perché il fianco Sud diventasse una priorità come quello Est”. Nel Mediterraneo le navi Nato si integreranno in un’attività antiterrorismo con la missione di assistenza Sophia, diretta dall’Europa sotto Eunavfor Med.

OBAMA È D’ACCORDO

L’argomento è stato anche al centro delle discussioni del Quint di Hannover, il vertice a cui hanno partecipato i capi di Stato e di governo di Stati Uniti, Germania, Francia, Regno Unito e Italia.

SERRAJ CHIEDE AIUTO ALL’OCCIDENTE

Matteo Renzi, prima di recarsi al vertice, ha avuto un colloquio telefonico con il premier libico appoggiato dalle Nazioni Unite Fayez Serraj, il quale poche ore dopo ha fatto uscire dal Consiglio presidenziale che dirige una richiesta di aiuto internazionale per proteggere i campi petroliferi. Una posizione apparentemente diversa da quella del suo vice, Ahmed Maitik, che tre giorni fa durante un incontro a Roma, alla Camera dei Deputati, aveva dichiarato che “non è necessario” nessun intervento militare occidentale.

IL PETROLIO ANCORA SOTTO ATTACCO

La situazione intorno ai pozzi è però peggiorata negli ultimi giorni. I campi, già obiettivo negli ultimi mesi di una campagna di devastazione dello Stato islamico, che punta a danneggiarli per colpire la principale fonte economica del Paese, sono tornati di nuovo al centro degli attacchi. Domenica i baghdadisti hanno preso di mira il checkpoint 52, nei pressi del porto petrolifero di Marsa Brega, nel golfo di Sirte (la città in cui lo Stato islamico è più forte). Durante gli scontri, in cui lo Stato islamico ha attaccato con una sessantina di mezzi, sarebbe rimasto ferito anche Ibrahim Jadhran, il capo della Petroleum Facilities Guards, la milizia che controlla i pozzi di petrolio in tutta la Libia, che ora si è allineata con Serraj. Jadhran è un ex ribelle anti-gheddafiano diventato molto popolare a Bengasi ed in Cirenaica ai tempi della rivoluzione, e che ora guida una delle più forti e potenti milizie del paese.

LA PRIMA RICHIESTA ESPLICITA DI TRIPOLI

Quella di lunedì è stata la prima richiesta esplicita del nuovo governo di Tripoli per un aiuto “armato” e potrebbe aprire nuovi scenari a proposito dei tanto discussi interventi militari internazionali; che pare siano già stati definiti e preparati sotto la direzione del Comando operativo interforze attraverso varie riunioni internazionali avvenute nella sede del comando all’aeroporto di Centocelle. L’invio di uomini a proteggere i pozzi si abbina alle voci, più o meno fondate (le ultime uscite da tabloid inglesi fanno parte della seconda categoria e vanno prese con relativo peso), che si susseguono su piani per colpire i baghdadisti attraverso l’uso di attività di intelligence, forze speciali e raid aerei puntuali.

L’ITALIA PRONTA A DIFENDERE LA MISSIONE ONU

Nell’intervista al quotidiano torinese, la ministro Pinotti ha dichiarato anche che l’Italia è pronta pure a fornire sicurezza, insieme ad altri Paesi, alla missione dell’Onu in Libia, Unsmil, diretta dal diplomatico tedesco Martin Kobler, il cui advisor militare, il generale italiano Paolo Serra, supervisiona la protezione del premier libico Serraj. Secondo il Corriere della Sera di martedì 26 aprile, la missione italiana sarà operativa tra poche settimane, appena ricevuto l’ok del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e avrà una consistenza tra le 600 e le 900 di unità italiane (scelte tra Carabinieri ed Esercito). L’Italia sarà capofila, seguiranno gli altri Paesi con un contributo via via minore. Il CdS Onu dovrebbe dare via libera, anche se lunedì il ministro degli Esteri russo (Mosca è un membro permanente con potere di veto) Sergei Lavrov ha pesantemente criticato la Nato, utilizzando la leva popolare che addossa all’intervento contro il rais Gheddafi del 2011 le responsabilità dell’attuale situazione.

LE COMPAGNIE OCCIDENTALI IN LIBIA

L’Italia controlla, con l’Eni, circa il 70 per cento della produzione complessiva odierna, come ha spiegato su Formiche.net il ricercatore italiano Luca Longo. Renzi ha sottolineato ai giornalisti che le strutture in difficoltà non sono quelle in cui opera l’azienda italiana. Anche la francese Total, le americane Conoco Philipps e Occidental, le canadesi PetroCanada e Suncor, la controllata del Cremlino Gazprom e la partner tedesca Wintershall, e tutta una serie di compagnie minori occidentali, hanno interessi in Libia. La richiesta di Serraj, di cui saranno chiariti i contorni anche in funzione delle reazioni politiche locali all’invito in Libia a forze militari straniere (reazioni probabilmente attenuate dalla necessità di proteggere il principale asset economico del paese), potrebbero essere collegata anche all’idea che da Tobruk stanno coltivando da tempo, e ultimamente tornata forte, di vendere petrolio indipendentemente. I militari occidentali darebbero garanzia di controllo anche su questi traffici, affinché le mire separatiste egiziane, veicolate dal generale freelance Khalifa Haftar, non riescano a mettere le mani sulla ricchezza l’unica.

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