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Perché con Parisi a Milano e Marchini a Roma il centrodestra può ripartire

A livello nazionale il modello di riferimento deve essere quello inclusivo che ha portato alla candidatura a Milano di Stefano Parisi. A Roma, invece, alcuni leader hanno commesso l’errore drammatico di non convergere sul candidato migliore che è Alfio Marchini: sono convinto che abbia ottime chance di vittoria“.  Il senatore ex Pdl ed ex Ncd Andrea Augello (oggi iscritto al gruppo GAL, Grandi Autonomie e Libertà) è stato – tra gli esponenti politici romani di spicco nel centrodestra – uno dei primi a puntare per il Campidoglio sul nome dell’imprenditore. Un sostegno, il suo, al quale si è aggiunto ieri quello di Silvio Berlusconi che – dopo settimane di riflessione – ha ottenuto il passo indietro di Guido Bertolaso e annunciato il suo appoggio a Marchini. In loro compagnia ci sono poi anche altri partiti e movimenti del centrodestra che fu, tra cui i Conservatori e Riformisti di Raffaele Fitto, l’Ncd di Angelino Alfano e Beatrice Lorenzin, Idea di Gaetano Quagliariello e sembra – a breve – La Destra di Francesco Storace. All’appello – come noto – mancano in pratica soltanto Matteo Salvini e Giorgia Meloni: la leader dei Fratelli d’Italia ha deciso di candidarsi in prima persona. A differenza di quanto accade a Milano ed anche a Napoli, dove Gianni Lettieri ha il sostegno del centrodestra unito.

Augello, come valuta la decisione di Berlusconi?

In questi mesi ho sempre cercato di far riflettere la mia metà campo sulla necessità di optare per un nome in grado di unire e di costruire. E’ indubbio che adesso i giochi su Roma siano completamente riaperti. Senza Marchini avrebbe vinto certamente Virginia Raggi, ora invece la partita cambia: tutti i sondaggi ci dicono che al ballottaggio Marchini può avere la meglio sulla candidata del Movimento 5 Stelle, al contrario di Giorgia Meloni che sarebbe, invece, condannata alla sconfitta.

Perché ne è convinto?

La candidatura di Marchini è inclusiva mentre quella di Meloni è divisiva. La leader di Fratelli d’Italia non perderebbe per una sua colpa diretta ma perchè il M5S avrebbe gioco facile nello schiacciarla su posizioni più estreme e nell’inchiodarla alla responsabilità politica di aver comunque partecipato ad un’esperienza qui a Roma fallimentare.

Immagino alluda agli anni di Gianni Alemanno in Campidoglio. 

Guardi, se paradossalmente avessero chiesto a me di candidarmi avrei risposto: “No grazie, a Roma voglio vincere“. Marchini è una persona che si porta in dote 100.000 voti, che ha fatto un’opposizione netta e seria a Ignazio Marino, che garantisce discontinuità e che ci consente di applicare il metodo vincente di Venezia dove l’anno scorso ha trionfato Matteo Brugnaro. Lo stesso metodo che in fondo stiamo seguendo a Milano con Parisi e a Napoli con Lettieri. Meglio di così, onestamente è difficile.

Si è fatto un’idea del perché Meloni si sia opposta strenuamente alla candidatura di Marchini? E’ stato un veto personale, una questione di valori oppure c’è dell’altro?

I valori di Marchini sono vicini ai nostri. Lo ha dimostrato senza mezzi termini sia nel corso della campagna elettorale del 2013, sia durante gli anni di Marino, in cui ha fatto opposizione accanto a noi. Penso onestamente che Fratelli d’Italia sia un partito molto fragile: lei ha un’indiscutibile, emergente, popolarità che le consentirà certamente di essere una protagonista dell’oggi e del domani. Il suo partito, però – al di là della realtà di Roma – è residuale. In una situazione di questo genere, piccole percentuali di consenso – insignificanti a livello nazionale ma fondamentali a livello di collegi locali – fanno la vita o la morte di un partito.

Dunque è stato il partito a spingerla a candidarsi?

Se Fratelli d’Italia – grazie alla candidatura a sindaco di Meloni – riuscirà a raddoppiare i suoi voti romani, alla Camera potrà poi mantenere un certa percentuale di rappresentanza parlamentare con i consensi ottenuti nella Capitale e nell’Italia centrale. E’ un obiettivo comprensibile che ha avuto, però, un’irruente prevalenza su ogni altro tipo di ragionamento, con la conseguenza di causare la devastazione della coalizione.

Nell’ottica di ricostruire un’area politica assimilabile al vecchio centrodestra, quello di Roma è soltanto un’incidente o qualcosa di più?

Me lo auguro, io lavoro per questo. Lavoro affinché si affermi a livello nazionale il modello di Milano che ci vede sostenere uniti e compatti l’ottima candidatura di Parisi.

Perché – secondo lei – partiti che localmente si stanno ritrovando, a livello nazionale vanno in ordine sparso?

Per poter arrivare a qualcosa di comune a livello nazionale, bisogna agire seriamente. E’ necessario procedere dal basso verso l’alto e non il contrario, dal territorio e poi a salire. Il Parlamento è l’ultimo luogo in cui si arriva.

In questo disegno la sfida delle amministrative quanto è importante?

Vediamo cosa succede, soprattutto a Milano, Napoli e Roma dove ci sono elementi di sicuro interesse. Poi – a seguire – dovremo trarre le conseguenze dal punto di vista politico nazionale. L’obiettivo è la creazione di un nuovo polo politico conservatore. Però è necessario chiarire le cose: ad esempio, hanno ragione la Lega e Fratelli d’Italia nell’affermare che questo progetto deve essere radicalmente alternativo a Renzi, al renzismo e al Partito Democratico.

Quindi no ad un centro che guardi al Pd come possibile alleato? Lei ha fatto parte dell’attuale maggioranza per un certo periodo.

E’ vero ma solo perché in una determinata fase – molto delicata per il Paese – ho ritenuto necessario dare il mio appoggio ad un governo di larghe intese. Pertanto, mi sono ritrovato nel Nuovo Centrodestra. La mia idea di quella esperienza, però, è molto limitata nel tempo, al massimo diciotto mesi. Sono stato di Alleanza Nazionale, figuriamoci se posso stare al governo sine die con il Pd. Questa considerazione valeva per me, per Quagliariello e per tanti altri.

Tema fondamentale è l’individuazione di un leader in grado di federare le varie forze politiche che costituivano il vecchio centrodestra. Che profilo deve avere? Per intenderci, quello di Salvini o quello di Parisi?

Un leader non è che si fabbrica in provetta, emerge sul campo. Credo che la questione della leadership si risolverà a favore di chi avrà maggiori capacità di aggregazione. Si può essere molto bravi ad ottenere voti per il proprio partito ma se non si è in grado di aggregare forze politiche diverse, non si può avere una leadership vincente.

Da cosa partirebbe per ricostruire il centrodestra?

Innanzitutto da quello che non si deve fare più. Ad esempio il carosello di Roma ha messo fortemente a repentaglio la credibilità di alcuni partiti del centrodestra. Se non sei capace di gestire i rapporti con i tuoi potenziali alleati, come puoi pensare di governare una città o un Paese?

E siamo di nuovo a Meloni e Salvini e alla loro corsa in solitaria per il Campidoglio…

A governare non deve essere la paura delle percentuali dei singoli partiti ma l’entusiasmo della conquista della maggioranza. Vincere – e possibilmente vincere bene – per garantire un governo di qualità. Con Fratelli d”Italia e Lega torneremo a parlarci a Roma dopo che Marchini avrà vinto le elezioni. Magari – se possibile – senza che dicano altre baggianate.

A cosa si riferisce?

Ma come si fa a a dire che Marchini è il candidato di Renzi a Roma se ha vinto le primarie della Lega? Matteo Salvini ha inserito nelle sue primarie il nome di Marchini che poi ha vinto. Come può dire che si tratta di un candidato di centrosinistra? Sarebbe messa male la Lega se un candidato di centrosinistra vincesse le sue primarie. Ma evidentemente non è così.

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