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Petrolio, tutti i veri piani dell’Arabia Saudita

In Arabia Saudita procedono i passaggi per privatizzare il primo pacchetto di azioni del gigante petrolifero statale Saudi Aramco, operazione prevista tra il 2017 e il 2018, che si porterà dietro un’impalcatura di riforme e investimenti.

L’INCONTRO CON I GIORNALISTI

L’amministratore delegato ha dichiarato, durante un tour offerto nei giorni scorsi a diversi giornalisti internazionali nella sede centrale di Dhahran per spiegare la grande operazione finanziaria, che la produzione di petrolio saudita aumenterà nel 2016 proprio in vista del percorso di privatizzazione, con il quale l’azienda dovrebbe ottenere una rivalutazione di capitale derivante dalla vendita del 5 per cento delle proprie azioni (valore stimato 125 miliardi di dollari). L’operazione è uno dei passaggi più accattivanti del piano per raddoppiare la dimensione dell’economia saudita entro il 2030, diversificando per renderla meno dipendente dalla produzione statalista di petrolio e gas: ma attenzione,”non fatevi ingannare, questa diversificazione non è al posto dei combustibili fossili, è in aggiunta” ha scritto il business editor della BBC Simon Jack, presente all’incontro con il board della società tenutosi il 10 maggio.

È LA VISION 2030

La Vision-2030, il piano a cui fa riferimento l’ad Amin Nasser annunciando dolori per tutti gli altri produttori mondiali che invece speravano nella riduzione o quantomeno nel congelamento delle estrazioni attuali. prevede investimenti nei settori della petrolchimica (la statale Saudi Basic Industries Corp, Sabic, firmerà un accordo di finanziamento con Aramco), estrazione mineraria, turismo, costruzioni. Un impegno livello globale: sul Corriere della Sera si raccontava per esempio del maxi investimento del gruppo Fawaz Alhokair dell’omonima dinastia di imprenditori sauditi a Milano. Salman e Abdul Majeed Fawaz, “che in Italia stanno peraltro valutando investimenti anche a Roma e Torino” scrive il CorSera, saranno i finanziatori del grande progetto di rilancio urbanistico firmato da Renzo Piano nell’area ex Falck di Sesto San Giovanni: i Fawaz sono una delle realtà del regno che non ha subito il colpo del calo del prezzo del petrolio, avendo interessi nell’ambito degli shopping mall (un totale di 2100 negozi, compresi quelli all’estero).

IL DEUS EX MACHINA DEL REGNO

L’ambizioso piano saudita è mosso e progettato da Mohammed Bin Salman, vice principe ereditario, il vero uomo forte del regno: sarà lui, tra l’altro capo del Consiglio supremo dell’Aramco, a valutare il piano di privatizzazione del colosso statale del petrolio. L’Arabia Saudita ha scoperto un totale di 805,6 miliardi di barili di petrolio, di cui 141,5 sono già stati prodotti e 260 sono stati considerati “proven“, il termine di settore per le riserve che possono sicuramente essere estratte. A questi vanno aggiunte le riserve immagazzinate da Aramco, in crescita costante visto che la produzione supera di gran lunga la richiesta da diverso tempo: aumentarle, però, significherebbe accrescere il valore della società (che attualmente si aggira intorno ai 2 trilioni di dollari) nelle fasi di vendita della quote.

IL BOOMERANG CHE HA INNESCATO TUTTO

È interessante notare che il grosso progetto di riforme saudita si è praticamente reso necessario per la svalutazione del prezzo del greggio, a cui l’economia del regno è rimasta finora ancorata in modo quasi esclusivo, ma è stata la stessa volontà di Riad di alzare e mantenere alte le produzioni per non vedersi sottratti spazi commerciali da altri attori, ad innescare per la regola di mercato offerta/valore il ribasso dei prezzi. In questo, se prima pesava la volontà di contrastare il settore degli shale con cui gli Stati Uniti non solo raggiungeranno l’agognata indipendenza energetica, ma si apriranno al mercato globale, adesso c’è anche una volontà molto ideologica di combattere le vendite dall’Iran, nemico esistenziale saudita, riabilitato diplomaticamente dalla chiusura del Nuke Deal a luglio scorso.

RIFORME E RIMPASTI: UN NUOVO REGNO?

Uno dei passaggi più mediatici di Vision 2030, per ora, è stata la decisione del re di togliere l’incarico di ministro del Petrolio ad Ali Naimi (in carica dal 1995, un pezzo di storia moderna del Paese e delle sue dinamiche geopolitiche globali) per affidarlo a Khalid al Falih, da sempre considerato il successore di Naimi, “autorevole tecnocrate” (definizione del Financial Times) ex amministratore della Saudi Aramco. Sarà Falih l’interlocutore per il piano economico ed intellettuale di privatizzazione dell’Aramco, sarà lui ad occuparsi anche di incrementare il “non-oil” nel settore energia. Avrà anche le deleghe all’elettricità, dopo la scissione dell’ex ministero prima congiunto con quello dell’Acqua. Rimpasto anche agli Investimenti, alla guida andrà Majed al Qasabi e avrà come obiettivo rendere il fare impresa in Arabia Saudita più facile, e dunque attraente, per chi viene da fuori. Ahmed al Kholifey è stato riconfermato alla guida di Sama, la Banca centrale saudita, ma sarà l’istituto a essere riformato. Le riserve saudite sono scese a 580 miliardi di dollari nell’ultimo anno, e sono in esaurimento al ritmo di 10 miliardi al mese necessari per far fronte al deficit fiscale che entro la fine del 2016 potrebbe raggiungere il 19 per cento del Pil. Per questo il Fondo investimenti pubblici (Pif) avrà maggiore indipendenza trasformando Sama in una banca centrale più classica con meno influenza sugli investimenti: sarà proprio Pif a ricevere il ricavato dal piazzamento sul mercato delle azioni di Armaco. Sempre secondo le volontà del trentenne principe Mohammed, è stato creato un ministero della Cultura e dell’Intrattenimento, una sorta di cambiamento sociale per Riad, che potrebbe ammorbidire leggermente i rigidi precetti religiosi. In un paese che considera una delle massime attrazioni turistiche all’estero i cinema liberi, chiusi in Arabia dal 1980, ci sono margini per far crescere la spesa delle famiglie per l’intrattenimento del 6 per cento, come previsto dalla Vision 2030.

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