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Metro C, l’odissea di Roma

Non c’è tregua per i romani in tema di metropolitane. L’odissea romana del trasporto pubblico ha colpito i cittadini della capitale questa mattina quando, a causa della rottura di una vecchia fognatura avvenuta ieri sera, la stazione della Metro A Flaminio si è allagata fino a portare alla chiusura del Muro Torto paralizzando così il traffico della Capitale. E poi c’è la Metro C, il cui ultimo intoppo – in ordine di tempo – ai lavori è il ritrovamento di una caserma delle truppe dell’Imperatore Adriano nel cantiere della fermata Amba Aradam in viale Ipponio. “Questo lavoro non comporterà ritardi e i costi sono ampiamente previsti”, ha dichiarato negli scorsi giorni il soprintendente Francesco Prosperetti, che poi ha raggiunto un accordo con l’ad di Roma Metropolitane Paolo Omodeo Salè sulla gestione del ritrovamento e sulla sua valorizzazione: smontaggio e ricollocamento nello stesso posto della caserma romana, senza nuove varianti al progetto (dopo le 45 già approvate dall’inizio dei lavori).

Una partita lunga, quella della metro C, in cui i giocatori, secondo la Corte dei Conti del Lazio, hanno giocato in modo controverso e che toccherà al prossimo sindaco gestire e, forse, portare a termine.

LE IDEE DEI CANDIDATI SINDACO

La metro C “ha visto qualche problemino”, ha dichiarato oggi Virginia Raggi ai microfoni di Radio Capital, e se sarà eletta sindaco la candidata del Movimento 5 stelle ha dichiarato che la farà arrivare fino al Colosseo, “poi vedremo se continuare”. Per tutti gli altri candidati sindaco, la Metro C deve esser conclusa: il candidato del Pd, Roberto Giachetti, sostiene che vada ultimata con le fermate anche nel centro storico, e l’amministrazione e la sovraintendenza devono “riprenderne il controllo” dei lavori, “perché al momento non lo sono”; Alfio Marchini sottolinea la necessità di garantirne il prolungamento per tutta la tratta prevista, e così per la candidata di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, sia un’infrastruttura irrinunciabile, da concludere “anche con risorse dello Stato”. Lavori che devono essere portati a termine anche per il candidato di Sel, Stefano Fassina.

I NUOVI LAVORI (E I NUOVI RITARDI)

Anche se non si dovrà riformare il progetto della stazione Amba Aradam e non sarà approntata una nuova variante – da aggiungere alle altre 45 già approvate e che sono oggetto di indagine da parte della magistratura – i lavori continuano ad accumulare ritardi. “I lavori della tratta dalla stazione San Giovanni fino al Colosseo registrano, al 31 ottobre 2015, un ritardo di 316 giorni rispetto al termine di fine lavori stabilito al 22 settembre 2020 con ingentissime riserve già iscritte da Metro C”, si legge nella relazione del collegio sindacale di Roma Metropolitane. Inoltre, ha spiegato Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, dentro “la società del Campidoglio che gestisce l’appalto della Metro C […] si racconta che sei mesi fa il general contractor Metro C, di cui fanno parte Astaldi, Vianini del gruppo Caltagirone, il consorzio Cooperative costruzioni e l’Ansaldo Finmeccanica ha fatto causa alla stessa Roma metropolitane chiedendo altri 348 milioni. Il bello è che 71 milioni la società comunale avrebbe già dovuto pagarli da tempo, e per altri 152 aveva riconosciuto di doverli pagare”. In totale, l’opera è costata finora 692 milioni di euro in più rispetto alle previsioni iniziali.

TUTTI CONTRO TUTTI

Come segnalato da un blogger di Formiche.net, dalla relazione del collegio sindacale di Roma Metropolitane, la società del Campidoglio che gestisce l’appalto della Metro C, emerge una vicenda di tutti contro tutti. Sei mesi fa il general contractor Metro C, composto da Astaldi, Vianini del gruppo Caltagirone, il consorzio Cooperative costruzioni e l’Ansaldo Finmeccanica ha fatto causa alla stessa Roma metropolitane chiedendo altri 348 milioni. Roma metropolitane, dal canto suo, ha fatto causa al Comune di Roma, suo azionista, a colpi di decreti ingiuntivi, rivendicando 45 milioni. E come se non bastasse, si alzano contrasti anche all’interno stesso di Roma Metropolitane: con il presidente Omodeo Salè che denuncia per diffamazione il collegio sindacale e il collegio sindacale che a sua volta denuncia il presidente alla Corte dei conti per danno erariale. La gravità della situazione ha portato il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, a mettere l’ex assessore ai Trasporti della Regione Campania, Ennio Cascetta, al posto di responsabile della struttura di missione per le grandi opere un tempo guidata da Ercole Incalza.

LA RAMANZINA DELLA CORTE DEI CONTI

I lavori per la realizzazione della metro C sono “uno scandalo” in cui tutti gli attori in campo hanno giocato “una partita anomala, illegale e rovinosa”. Sono le parole usate da Ivan De Musso, presidente della Corte dei Conti del Lazio, e Raffaele de Dominicis, procuratore regionale, durante l’apertura della cerimonia d’inaugurazione dell’anno 2016 che si è tenuta il 4 marzo a Roma. I lavori sono costati fin’ora oltre 3 miliardi di euro in più rispetto al già elevato costo contrattuale (3,47 miliardi). Si tratta, ha dichiarato De Musso, di una “crescita esponenziale dei costi ed inaccettabili ritardi esecutivi grazie, soprattutto, ad un numero esorbitante (45) di varianti (illegittime)“.

CHI SONO GLI ATTORI COINVOLTI

Nella relazione di de Dominicis (qui la relazione completa) si sottolinea come a essere responsabili di ritardi e costi sempre in crescita siano stati tutti gli attori coinvolti, ossia: Roma Capitale, Roma Metropolitane e Metro C che hanno giocato “una partita anomala, illegale e rovinosa per tutti“. Da una parte l’amministrazione della città di Roma, che è stata bypassata nella sua funzione di controllo e approvazione delle spese ulteriori provocate da modifiche e ritardi; poi Roma Metropolitane, società di proprietà di Roma Capitale che ha deliberato e fatto in modo che tali ritardi (con le spese ulteriori a carico dei finanziatori) fossero resi legittimi nella forma, ma non nella sostanza; e poi il consorzio Metro C in cui confluiscono le società Astaldi, Vianini Lavori (Caltagirone), Ansaldo STS, Cooperativa Muratori e Braccianti di Carpi, Consorzio Cooperative Costruzioni.

LE VARIANTI DI PROGETTO

A far lievitare esponenzialmente i costi sarebbero state “le numerose varianti di progetto approvate in corso d’opera“, modifiche che appaiono “del tutto illegittime” perché “non approvate dall’organo di controllo politico, titolare del relativo potere decisiorio” scrive de Dominicis. “Infatti – si legge nella relazione –, tutte le “varianti concordate” tra “METRO C” e la società “ROMA METROPOLITANE”, implicando un forte incremento di spesa sulle singole tratte, non risultano portate all’approvazione dell’organo collegiale competente: che è la G.M. (Giunta Municipale, ndr) di Roma Capitale, ai sensi dell’art. 48 del T.U. n. 267 del 2000“. Il procuratore regionale denuncia, dunque, non solo un numero eccessivo di variazioni sul progetto iniziale (45), ma anche l’approvazione delle stesse da parte di un soggetto che non avrebbe potuto farlo (Roma Metropolitane) e la totale assenza di vigilanza da parte dell’amministrazione capitolina.

IL RAPPORTO TRA ROMA METROPOLITANE E METRO C

Roma Metropolitane, spiega il procuratore, avrebbe concesso autorizzazioni in modo non legittimo. “Le decisioni di spesa – si legge nella relazione – venivano assunte prima ed al di fuori dei circuiti legali, mediante i famigerati accordi bonari, di dubbia natura transattiva e, poi, fatti ratificare dal CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica, ndr), circa due anni più tardi“. Le deliberazioni del CIPE costituivano dei riconoscimenti di spesa a posteriori “in palese violazione dei procedimenti amministrativi che esigevano l’approvazione da parte di Roma Capitale attraverso delibere ad hoc adottate dalla Giunta Capitolina“.

L’ACCORDO DEL 12 GIUGNO 2008

L’esistenza di un accordo “autodefinito” tra Roma Metropolitane e Metro C stipulato in via privata il 12 giugno 2008 conferma l’impressione – si legge nella relazione – che “il tema principale dell’accordo fosse la salvaguardia dell’appaltatore il quale avrebbe addirittura potuto pretendere (in caso di risoluzione del contratto, previsto nell’accordo con lo scopo però di essere escluso) il ‘lucro cessante’, pur essendo a lui imputabili ritardi ed omissioni nella realizzazione dell’opera“. Pur avendo preso atto dei ritardi nei lavori nella prima fase strategica, Roma Metropolitane “rinuncia ad ogni pretesa e contestazione, di qualsivoglia genere e specie, avanzata o da avanzarsi nei confronti del Contraente Generale (Metro C, ndr)”. Nell’accordo poi, vengono riconosciute una lunga serie di varianti definite “necessarie“, ma poi approvate con una sanatoria del CIPE nel 2009 e senza controlli di nessun tipo da parte di chi finanzia l’opera, ossia Stato, Regione e Comune. “Nessuno degli enti finanziatori si avvede mai dei gravi cambiamenti operati – si legge nella relazione –, mentre Roma Capitale, disinformata o non informata… omette di esigere l’immediata restituzione dei fondi del prefinanziamento e di disporre, altresì, lo scioglimento del C.d.A. di Roma Metropolitane per palese infedeltà“.

LA MALA FEDE DEL CONTRATTUALE

Secondo il presidente della Corte dei Conti del Lazio e il procuratore regionale Raffaele de Dominicis alla base degli accordi tra Roma Capitale, Roma Metropolitane e Metro C ci sarebbe una malafede contrattuale finalizzata all’arricchimento del General Contractor (ossia Metro C): “L’acquiescenza di Roma Metropolitane avverso le più varie ed ingiuste pretese di Metro C – si legge nella relazione –, offrono ulteriori elementi di prova in ordine all’attestazione di corresponsabilità dei due protagonisti e di concorso nella causazione dei ritardi e del disservizio in pregiudizio del principio del buon andamento“.

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