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Cosa (non) deve fare il Pd dopo il voto del 5 giugno. L’analisi del prof. Ceccanti

Ceccanti

In questo nuovo quadro di frammentazione politica, la regola per le elezioni amministrative è diventata il ballottaggio“. L’ex senatore del Partito Democratico Stefano Ceccanti insegna Diritto pubblico comparato all’Università La Sapienza di Roma ed è considerato uno dei padri della riforma costituzionale di Matteo Renzi, che sarà sottoposta a referendum confermativo il prossimo ottobre. In questa conversazione con Formiche.net, Ceccanti indica quali sono gli elementi di novità rappresentati dal voto di domenica 5 giugno. L’ormai stabile divisione in tre blocchi del sistema politico (centrosinistra, centrodestra e M5S) – osserva Ceccanti – ha inevitabilmente modificato il meccanismo di voto delle amministrative: “Rispetto alla precedente tornata l’offerta politica è cambiata e si è frammentata. Com’era logico aspettarsi, pressocché in nessuna città la partita si è chiusa al primo turno mentre ciò accadeva spesso quando l’offerta era limitata solamente a due grandi contenitori. Questa è la prima evidente novità di carattere generale“.

Professore, non è anche che gli elettori sono diventati meno indulgenti verso chi si presenta per la prima volta o è in cerca della riconferma?

Gli elettori ormai ragionano sui loro rispettivi comuni in chiave retrospettiva: premiano o puniscono sulla base di quello che si è fatto nel quinquennio precedente. Da questo punto di vista è abbastanza ovvio che dove vi sia stata una crisi anticipata, lo schieramento che si è trovato a sostituire il sindaco venga penalizzato come nel caso di Roma. Anzi, in ipotesi di questo tipo potrebbe tranquillamente accadere che lo schieramento del sindaco uscente non vada neppure al ballottaggio. Direi che il risultato di Roma sotto questo profilo rientra pienamente nella normalità.

Per il Pd era dunque impossibile fare di meglio? Matteo Renzi in conferenza stampa non ha nascosto la sua insoddisfazione per i risultati complessivi del Pd.

Nel caso di Roma fare di più non era possibile. L’obiettivo di Roberto Giachetti era quello di arrivare al ballottaggio, da qui in poi è tutto un di più. Quanto al resto, è ovvio che a questo punto tutte le forze politiche – Renzi compreso – cerchino di mobilitare il proprio elettorato in vista dei ballottaggi, che costituiscono una partita nuova, come tale tutt’altro che scontata.

L’esito non è scontato neppure a Roma?

Assolutamente no, così come non è scontata neppure la situazione di Torino dove Piero Fassino ha distaccato di undici punti la candidata grillina Chiara Appendino. Virginia Raggi e Fassino, ovviamente, partono in posizione favorevole ma la partita è del tutto nuova e l’esito ancora da scrivere.

C’è un risultato in questo primo turno delle amministrative che non si attendeva?

Il risultato è molto a chiazze. In Toscana, ad esempio, è interessante osservare come i problemi della giunta grillina di Livorno guidata da Filippo Nogarin abbiano prodotto una sorta di effetto di trascinamento. Nessun candidato cinquestelle, infatti, è andato al ballottaggio in Toscana.

Come giudica invece il risultato di Milano con Beppe Sala davanti a Stefano Parisi neppure di un punto percentuale?

A Milano dobbiamo tener conto che si sono equilibrati due fattori: la valutazione positiva della giunta uscente di Giuliano Pisapia e dell’esperienza dell’Expo ma anche la tradizione politica della città. Non dobbiamo dimenticare che dal 1994 nel capoluogo lombardo ha sempre vinto bene il centrodestra, salvo l’affermazione di Pisapia. Milano è fondamentalmente una città di centrodestra. In questo senso il primo posto, seppur di poco, di Sala è un effetto del giudizio positivo sull’operato della giunta precedente e sui sei mesi dell’Expo ma la situazione è completamente aperta. Quello è un ballottaggio davvero imprevidibile.

Chi vuole trarre indicazioni di carattere nazionale sbaglia secondo lei? E’ un voto solo amministrativo oppure c’è un inevitabile riflesso di respiro più ampio?

Ci sono risultati così diversi da città a città che mi sembra difficile poterne trarre un bilancio riepilogativo. Però si dimostra che c’è una tale frammentazione sia dell’offerta politica sia dell’elettorato, che se si conferma l’idea di far scegliere direttamente il governo ai cittadini non bisogna assolutamente modificare l’Italicum.

Dunque, a suo parere questo voto rafforza la legge elettorale varata dal governo Renzi?

Assolutamente sì. L’esito delle urne dimostra che bisogna mantenere l’Italicum così com’è. In questo contesto, se si dovesse rendere nuovamente proporzionale il sistema, non ci potrebbero che essere due scenari, entrambi da scongiurare. Il primo è una grande coalizione che vada dal Pd a Berlusconi compreso, fortemente eterogenea ed incapace di governare pienamente. Non si può neppure escludere, però, che con il ritorno al proporzionale una coalizione del genere non sia in grado di conquistare il 50% più uno dei seggi parlamentari. In questa seconda ipotesi, potrebbe venirsi a creare una situazione analoga a quella spagnola, nella quale è risultato assolutamente impossibile creare qualsiasi tipo di governo.

In questo contesto l’Italicum servirebbe quindi ancora di più a garantire la governabilità?

Esatto, è così. Contrariamente a quanto hanno osservato alcuni nelle ultime ore, l’Italicum esce rafforzato dal primo turno delle amministrative che ha fotografato questa frammentazione politica.

E la riforma della Costituzione che impatto subirà?

Le due cose sono strettamente legate.

Pensa però che il voto di ieri dia qualche indicazione sull’orientamento che gli italiani saranno chiamati ad esprimere al referendum confermativo d’ottobre?

No guardi, gli elettori valutano diversamente ogni volta che gli vengono date le schede elettorali. Ciò può capitare addirittura nello stesso giorno. Ad esempio, si può ricordare cosa accadde in occasione delle elezioni europee del 2014: a Padova e Livorno il Pd perse l’amministrazione dei comuni ma prese più del 50% nelle schede per il Parlamento europeo. Figurarsi in un’elezione che si svolgerà tra qualche mese.

Concludendo, il Pd ora che deve fare secondo lei?

Deve fare una campagna rivolta a tutti, anche a chi non ha votato. A Roma, in particolare, dovrebbe fare leva sull’idea che al primo turno si può votare anche per ragioni emozionali e per protesta contro le amministrazioni precedenti ma che al ballottaggio, invece, si sceglie per far governare effettivamente la città. Al secondo turno le ragioni della ragione dovrebbero prevalere su quelle dell’istinto.

Continua a parlare di Roma e di Giachetti. Crede davvero alla possibilità che il candidato del Pd ribalti l’esito del primo turno?

Al secondo turno tutto è possibile. Domenica alle elezioni politiche peruviane il candidato che al primo turno era arrivato secondo con il 21% – Pedro Pablo Kuzcynki – alla fine ha vinto.



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