Matteo Renzi? “Un fuoriclasse più forte di Messi spesso attorniato da mestieranti del pallone“. La sinistra dem? “Lavora per la sconfitta del Pd sia ai ballottaggi che al referendum costituzionale d’ottobre“. Il voto di domenica scorsa? “Per il Partito Democratico un campanello d’allarme da non sottovalutare, soprattutto per i pessimi risultati di Napoli“. Salvatore Margiotta da Potenza è una delle anime del renzismo nel sud Italia.
Senatore, ingegnere civile e professore universitario all’Università della Basilicata, Margiotta ha anche conosciuto l’angoscia di un lungo processo penale e la soddisfazione per una sofferta assoluzione: “Ci sono voluti otto anni per essere dichiarato innocente con sentenza definitiva della Corte di Cassazione. E pensare che avevo scelto il rito abbreviato. Le altre persone coinvolte in quel procedimento hanno ricevuto solo un paio di mesi fa la sentenza di primo grado“. Il pubblico ministero di quella vicenda ha bisogno di poche presentazioni: è Henry John Woodcock, un nome che Margiotta sembra pronunciare quasi controvoglia.
E’ il 2008 quando arriva la notizia dell’indagine a suo carico nell’ambito di un’inchiesta su un presunto giro di tangenti legate all’estrazione di petrolio in Val D’Agri. La stessa area della Basilicata che quest’anno è tornata sotto i riflettori per il caso Tempa Rossa e le dimissioni dell’ex ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi. Nell’arco di otto anni Margiotta passa dallo spettro degli arresti domiciliari annullati dal Tribunale del Riesame all’assoluzione in primo grado, dalla condanna in appello nel 2014, alla definitiva assoluzione da parte della Cassazione nel gennaio di quest’anno: “In fondo nella sfortuna sono stato fortunato, le date delle elezioni si sono combinate in modo tale che potessi continuare a fare politica. Nel 2013, ad esempio, ero stato assolto in primo grado e così ho potuto ricandidarmi ed essere eletto in Parlamento“.
Ed è proprio l’odissea giudiziaria che vive ad avvicinarlo definitivamente a Renzi, con cui condivide anche la formazione democristiana e la provenienza dalla Margherita di Rutelli. Dopo la condanna di secondo grado Margiotta ricorda di aver scritto “un’email quasi disperata” al premier e di aver ricevuto questa risposta: “Tieni duro, le somme si tirano alla fine. Ti aspettiamo nel tuo partito quando sarai assolto“. Una frase che lo ha colpito a tal punto da portarlo oggi a dire di voler continuare con la politica solo finché rimarrà in campo Renzi.
Del presidente del Consiglio Margiotta dice di apprezzare, in particolare, la franchezza e la voglia di metterci la faccia sempre e comunque. Una caratteristica che lo ha portato ad ammettere il risultato tutt’altro che positivo del Pd al primo turno delle amministrative: “Se avesse cercato giustificazioni e avesse fatto anche lui il solito balletto sull’analisi dei risultati, non mi avrebbe sodddisfatto. Sono stato contento, invece, che il giudizio di Renzi sul voto sia stato duro e veritiero, soprattutto per quanto riguarda il sud Italia“.
La vera débacle – sottolinea Margiotta – è a Napoli dove la candidata a sindaco Valeria Valente non è arrivata al ballottaggio e la lista del Pd si è fermata all’11% dei consensi. Peggio anche del 2011 quando pure sembrava che si fosse toccato il fondo dopo il doppio mandato di Rosa Russo Iervolino: a quelle elezioni – in cui al ballottaggio andarono, come stavolta, Luigi De Magistris e Gianni Lettieri – il Pd con la candidatura a sindaco del prefetto Mario Morcone ottenne, infatti, il 16% dei consensi. Non a caso sull’argomento Renzi ha fatto mea culpa e ha annunciato la nomina di un commissario che avrà il compito di far rilanciare il partito: “Ha fatto bene il premier. A Napoli – la capitale del Sud – il Pd non può essere la terza forza politica“.
Tra i motivi che hanno causato il fallimento, Margiotta indica il caos primarie e la vicenda dell’ex sindaco Antonio Bassolino, evidenziata in una conversazione con Formiche.net anche da Peppino Caldarola. C’è però dell’altro nella sua analisi: “Non puoi non avere i mezzi per costringere Vincenzo De Luca a fare una seria campagna elettorale su Napoli. La mia sensazione esterna è che non si sia sentito il peso della presidenza della Regione sulle vicende napoletane“. Un governatore che, peraltro, quanto a conquista dei consensi in Campania non è secondo a nessuno: a Salerno – la città che De Luca ha guidato per quattro mandati – il “suo candidato” Enzo Napoli ha trionfato al primo turno con oltre il 70% dei voti mentre lo sfidante di Forza Italia Roberto Celano non ha raggiunto neppure il 10%.
E dire che a Napoli il premier si era fortemente speso anche in prima persona, ad esempio con le risorse investite su Bagnoli: “E’ un generoso e, al contrario di tanti altri, ha voluto metterci la faccia comunque, nonostante fosse ben consapevole delle difficoltà e della sconfitta“. Problemi che nel mezzogiorno il Pd non sta avendo solamente nel capoluogo campano. Margiotta ricorda i risultati di Cosenza dove non si andrà al ballottaggio perchè il candidato del centrosinistra Carlo Guccione ha preso solo il 19% dei consensi – lontanissimo da Mario Occhiuto che ha vinto con quasi il 60% dei voti – con il Partito democratico addirittura fermo al 6%. E poi, ancora, il caso della Basilicata, priva del segretario regionale dallo scorso dicembre dopo la morte di Antonio Luongo.
La ragione di questa tendenza negativa Margiotta la rintraccia nella qualità della classe dirigente e nel mal riusciuto mix tra storie e competenze diverse: “Al sud abbiamo innanzitutto bisogno di un renzismo vero, di qualità, e non di quelli che si alzano la mattina, fanno un tweet e pensano di essere leader. Un ingrediente al quale aggiungere l’apporto di persone esperte e competenti che non traffichino voti. Ho l’impressione che non si sia fatto né l’uno né l’altro. Abbiamo messo giovani incompetenti al fianco di baroni ormai superati“. Una situazione di cui Renzi ha fatto chiaramente intendere di volersi occupare in prima persona: “Matteo – che è una persona intelligente – deve prendere atto che la situazione è questa e intervenire per invertire la rotta“.
La critica è anche nei confronti della cosiddetta generazione Leopolda, i giovani dirigenti Pd cresciuti al fianco di Renzi, che in molti casi danno l’idea di preferire vivacchiare in Parlamento piuttosto che di volersi impegnare direttamente sul territorio. Appunto che qualche mese fa aveva sollevato in una conversazione con Formiche.net un renziano almeno in parte convertito come Matteo Richetti e condiviso pure da Margiotta: “Lo dico con una battuta calcistica: accanto a Messi – che è un fuoriclasse del calcio, come Renzi lo è della politica – non sempre ci sono gli Xavi e gli Iniesta come succede nel Barcellona. A volta capita che ci sia qualche giocatore balbettante. Ed è quello che accade nel Pd“.
Il giudizio più netto Margiotta lo riserva, però, alla sinistra Dem definita “infantile“, “velleitaria” e “votata alla sconfitta“: “Lavora per far perdere i ballottaggi e il referendum a Renzi. Fanno finta di no ma hanno già festeggiato per la défaillance del primo turno“. Il motivo di questo durissimo scontro, secondo Margiotta, è da ricercare non tanto nell’operato del governo quanto piuttosto nella gestione del partito: “Sapendo che con il successo al referendum Renzi vincerà di nuovo il congresso, vogliono farlo perdere. La sinistra ha sempre ragionato perché si potesse cedere la presidenza del Consiglio come avvenuto con Romano Prodi. La segreteria del partito invece la sentono come una cosa lor: gli ex Pci ritengono che un post-democristiano alla guida del loro partito sia un’usurpatore. Una follia“.