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Elezioni comunali, periferie e immigrazione. Come (non) si parla di sicurezza

Matteo Renzi

Parlare di periferie in questa campagna elettorale amministrativa è d’obbligo per ogni candidato perché è in quei quartieri che si concentra la protesta. Che poi si manifesti con un voto di rottura, orientato quasi esclusivamente verso il Movimento 5 Stelle, o con l’astensione, si tratta comunque di una protesta verso servizi assenti o fatiscenti, scarsi centri di aggregazione per giovani e anziani, scarsa sicurezza e una crescente presenza di immigrazione che nelle aree più povere trova più facilmente ricovero. In sintesi, una protesta verso la politica dimostratasi non all’altezza. E’ però curioso che nel dibattito elettorale l’aspetto della sicurezza e della gestione dei flussi migratori trovi spazio solo come scontro frontale tra “opposti estremismi”, per mutuare uno slogan dei primi anni di piombo.

Parlare di immigrazione, sicurezza e rischio di radicalizzazione significa camminare costantemente sulle uova, eppure è preoccupante notare che nessuno approfitti dei mille dibattiti di questi giorni per prendere di petto il problema. Formiche.net ha parlato nei mesi scorsi del disegno di legge presentato da Stefano Dambruoso (Scelta Civica) e da Andrea Manciulli (Pd) su “Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista”, che tra l’altro prevede una formazione specialistica per le forze di polizia; un Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri, incentivando la formazione dei docenti; la creazione presso il ministero dell’Interno di un sistema informativo sui fenomeni del radicalismo jihadista nel quale dovranno convergere tutte le informazioni sui soggetti e le situazioni da monitorare; l’inserimento dei soggetti a rischio, individuati da questo sistema, nel mondo del lavoro con percorsi specifici e accesso a cooperative sociali; un portale informativo per diffondere una “narrativa alternativa” a quella jihadista, che proprio sul web attira i giovani, e il principio dell’”uguaglianza di genere” sancito dalla Costituzione. Presentato a gennaio, è stato all’ordine del giorno della commissione Affari costituzionali della Camera solo due volte (l’ultima il 12 maggio) e al momento non risulta calendarizzato per le prossime sedute. In pratica, siamo ancora a zero.

Si potrebbe obiettare che si tratta di un tema “nazionale” e non da elezioni amministrative. Invece, a parte che città come Roma, Milano, Torino e Napoli sono il cuore della nazione, discuterne senza pregiudizi né buonismi non solo dovrebbe essere un dovere dei parlamentari, sempre pronti con dichiarazioni alle agenzie di stampa quando accade qualcosa, ma sarebbe probabilmente un tema più interessante di altri da spiegare a chi vive in aree dimenticate o a rischio e dovrebbe andare a votare. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nell’intervista a Otto e mezzo dell’8 giugno, ha condiviso la preoccupazione sul tema delle periferie espressa da Pier Luigi Bersani: “L’Italia, ha detto Renzi, non ha le banlieue parigine, la situazione è meno traumatica, ma se in quelle zone si costruiscono casermoni, non ci sono strutture o campi di calcetto c’è un problema”. Nel suo ultimo libro, “Prigionieri dell’Islam”, Lilli Gruber racconta che nella moschea del quartiere romano di Centocelle, nella zona Est della Capitale, le è stato consegnato un libretto intitolato “La dignità della donna nell’islam” nel quale, tra l’altro, si descrive dettagliatamente come un uomo deve “punire” e “correggere” una donna. A Roma, non in Arabia Saudita.

Queste valutazioni valgono anche per quella parte delle comunità islamiche che, da un lato, rischia di diventare un problema irrisolvibile se viene emarginata e, dall’altro, deve capire che integrazione significa anche pagare le tasse e rispettare i nostri valori, come ricordò il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il 31 dicembre scorso nel messaggio di fine anno. Quando sui giornali e in televisione si leggono o si ascoltano notizie su Libia, Siria o Iraq si parla della nostra vita quotidiana molto più di quanto si pensi. Ha scritto Franco Venturini sul Corriere della Sera del 12 giugno: “Nelle masse arabe come nei quartieri islamizzati di molte capitali europee andranno rifondati valori e speranze che oggi appaiono in tutta la loro fragilità davanti alla sirena del martirio identitario. Si tratta molto concretamente di lavoro, di educazione, di sanità, di piccole o grandi conquiste capaci di restituire l’orgoglio e la stabilità psicologica a chi non le ha più, perché sono questi gli elementi che possono uccidere l’Isis per mancanza di reclute oppure farlo rinascere di continuo. Più del destino di Sirte e di quello di Raqqa”.

L’Italia non ha ancora “quartieri islamizzati” e purtroppo, però, non ha neanche una normativa che obblighi gli ospiti dei centri di accoglienza a ricambiare vitto e alloggio svolgendo qualche lavoro oppure che istituisca corsie preferenziali nei tribunali per smaltire velocemente i ricorsi di chi non ha ottenuto lo status di rifugiato politico. Così capita che immigrati senza diritto d’asilo siano in Italia da due anni e passino le giornate guardando la tv o Facebook mentre una donna delle pulizie sistema i loro alloggi (per informazioni, leggere Federico Fubini sul Corriere della Sera del 25 aprile da Briatico, in provincia di Vibo Valentia). Il tema delle periferie, insomma, è molto ampio e dovrebbe essere affrontato in maniera più intelligente e meno speculativa, non ignorando quel sottile razzismo che sta crescendo come fenomeno carsico anche in ambienti insospettabili.


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