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Perché da economista non mi convincono le stime di Confindustria sul referendum costituzionale

Sembra che la Brexit non abbia insegnato nulla. In particolare, non ha insegnato nulla lo spettacolo dei due fronti contrapposti, il fronte dell’exit e il fronte del remain, intenti a presentare, ciascuno per la propria parte, scenari catastrofici (non provati) in caso di vittoria del voto avverso. Ora la storia rischia di ripetersi in Italia in vista del referendum costituzionale. E’ triste che abbia imboccato questa strada proprio la Confindustria che si è schierata, con legittima e libera scelta, per il sì. Il fatto è che ha voluto strafare presentando, a supporto della sua scelta, presunte stime del suo Centro studi (CSC), secondo le quali una grave nuova recessione seguirebbe ad una vittoria del no al prossimo referendum costituzionale.

Siamo andati a vedere su cosa si fondano queste stime. Ebbene il documento del Centro Studi Confindustria afferma che se alla vittoria del no seguisse il caos politico, se i tassi di interesse sui titoli di stato più che raddoppiassero (altro che effetto Brexit), se alle aste dei titoli di stato (andate bene anche in presenza di Brexit) non si presentasse più nessuno per comprare, se crollasse la fiducia di imprese e famiglie, se ci fosse una fuga dei capitali, se infine, e qui siamo al ridicolo, si svalutasse addirittura il cambio dell’euro a causa di questa fuga dei capitali in Italia (altro che “quantitative easing” e tanta fatica sprecata da parte della BCE) allora, se tutto ciò si avverasse, ma non è chiaro il perché, avremmo una nuova recessione in Italia con tutte le conseguenze nefaste che ne seguirebbero. Si tratta di stime serie? Siamo oltre le ironie sugli economisti ed è triste che questo esercizio provenga da un Centro studi che ha un passato prestigioso. Potremmo anche stimare gli effetti di scosse telluriche su vasta scala e una epidemia di ebola e avremmo effetti ancora più gravi.

Sarei tentato di consigliare a chi è di opinioni diverse dalla Confindustria di stimare, ovviamente con un modello econometrico, cosa accadrebbe all’economia italiana se, alla vittoria del no, si costituisse un forte governo di coalizione e di riconciliazione tale da superare la spaccatura politica nazionale, e di conseguenza crescesse la fiducia di imprese e famiglie, aumentasse l’afflusso di investimenti stranieri (magari in fuga dal Regno Unito), si riducesse ulteriormente lo spread dei titoli di stato italiani e se infine le trattative in Europa su temi di interesse per l’Italia decollassero (Renzi non sembra molto simpatico a Junker).

Lasciando stare il tasso di cambio dell’euro, che non essendo la vecchia lira è poco sensibile al referendum italiano, le previsioni sarebbero di segno opposto e la loro attendibilità sarebbe non diversa da quella delle previsioni CSC, cioè pari a zero. In realtà, spero proprio che a nessuno venga in mente di replicare con sciocchezze simmetriche all’uscita improvvida del CSC, e che i due fronti referendari siano in grado di presentare seriamente i propri argomenti ai cittadini italiani chiamati a votare.

L’esperienza del voto britannico dimostra che la strada del terrorismo mediatico non produce risultati, anche se i vari tentativi di stima degli effetti della Brexit sull’economia del Regno Unito e degli altri paesi europei, benché poco significativi perché fortemente condizionali alle diverse ipotesi negoziali tra le due parti, avevano almeno un qualche fondamento analitico.


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