Si è spento un grande giornalista economico, Gian Battista Bozzo. In rete si trovano poche tracce e quelle disponibili non rendono giustizia al suo lavoro. Nessun libro porta la sua firma. Assenza anomala di questi tempi, frutto di una scelta precisa. La convinzione che riempire gli scaffali delle librerie non sia il nostro mestiere. Poi una diffidenza istintiva verso i social network. Unica eccezione, i blog. Poco prima che la malattia lo indebolisse mi confidò di volere iniziarne uno proprio su Formiche.net.
Il mio primo ricordo forte di Bozzo risale quasi 15 anni fa. Ero appena arrivato al Giornale, impaurito dalla sfida di un grande quotidiano e anche dalla presenza di una firma pesante come la sua. Il capo della redazione Mario Sechi ci aveva appena presentati, lavoravamo al terzo piano della vecchia sede di via dei due Macelli. Lello (che io per rispetto chiamai un paio di volte Giovanni Battista, facendolo sogghignare) iniziò a fischiettare un motivo. Era Close to you, canzone di Burt Bacharach, resa famosa dai Carpenters. Roba di qualità. Pop anni Sessanta sofisticato, da intenditori negli Stati Uniti, figuriamoci in Italia. Un po’ per vantarmi delle mie competenze musicali e anche per stabilire un contatto con un grande collega, dissi il titolo ad alta voce e così riuscì a guadagnare la sua amicizia che è durata fino alla fine.
Giovanni Battista Bozzo non era solo uno dei maggiori esperti italiani di economia internazionale e di politica economica. Erano tanti i giornalisti, anche stranieri, che lo chiamavano per farsi spiegare una decisione di Bankitalia e poi della Bce. Alle riunioni del Fmi, alle assemblee di Bankitalia o di Confindustria si creava quasi sempre un capannello attorno a Lello. Colleghi di testate blasonate gli chiedevano di tutto e lui, che era un signore, non si sottraeva mai. Un borghese vero, senza complessi o debolezze.
Bozzo era la dimostrazione, come riconobbe una volta un politico non sospetto di simpatie per il Giornale, “che si può essere giornalisti, di destra, e anche persone per bene”. Gli si leggeva in faccia l’umanità e il buon carattere. Capace di sfuriate epiche a danno di un capo e persino di qualche ministro con manie di grandezza, mai contro qualcuno meno forte di lui. Se doveva fare notare l’errore di un giovane collega o sedare una lite di redazione lo faceva con ironia e senza mettere in imbarazzo nessuno. Quando c’era da regolarizzare un precario era il primo ad andare a bussare alla porta del direttore. Virtù delle persone per bene.
Gli anni Settanta li aveva vissuti a modo suo (il migliore possibile, con il senno di oggi). Viaggi avventurosi e scanzonati in luoghi improbabili, come Haiti. Isola pericolosissima raggiunta dopo uno scalo non meno avventuroso a Mosca. Le partite a tennis, passione ereditata dal padre. L’amore per le cose belle.
Orgogliosamente sardo, ma cosmopolita fin da giovane. Impensabile un viaggio negli Stati Uniti o a Londra senza prima avere chiesto a Lello una lista di indirizzi e consigli.
Liberale quando non andava di moda, mai militante. Inevitabile l’incontro con Indro Montanelli e l’approdo all’unico giornale controcorrente di quegli anni.
Bozzo era l’antidoto a tanti luoghi comuni. Ad esempio era un giornalista con una famiglia solida. La moglie Paola e i figli Elena e Antonio, dei quali era orgogliosissimo e che oggi da adulti gli somigliano.
Qualche tempo fa, mi ha regalato la sua collezione di vinili. Decine di album Jazz, Rhythm and blues, la chitarra di Django Reinhard. Musica leggera e colta. La colonna sonora giusta per la vita di Lello.
(Foto Imago Economica/2003. Convegno Capitalia)