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Perché voterò Sì al referendum costituzionale

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“Gli invisibili nel mare del web” è un bel libro di Luigia Iarace che esamina l’emblematico successo ottenuto dalle pagine Facebook create dai “lavoratori invisibili” per contrastare il referendum del 17 aprile sulle estrazioni in mare. La sua lettura, in particolare su quali siano i meccanismi della partecipazione, mi ha stimolato alcune riflessioni sulla potenzialità che hanno i referendum di stimolare la partecipazione.

Ne ho trovato conferma parlando, recentemente, con imprenditori, dirigenti e lavoratori dell”oil&gas, cioè tutti quelli che si sono spesi, con motivazioni diverse ma ugualmente forti, perché non prevalesse la tesi di chi ha voluto il referendum. È emersa la loro voglia di continuare quello che è un sano “impegno civile” e si sono dichiarati disponibili a ripetere l’esperienza per sostenere le ragioni del “Sì” ai cambiamenti costituzionali che saranno appunto materia di un referendum a ottobre. E questo perché, come nel caso delle estrazioni, sono consapevoli di quanto questa innovazione costituzionale non sia solo un maquillage ad uso dei politici, ma dal loro punto di vista possa influire positivamente sul loro lavoro e la loro vita quotidiana.

C’è in sostanza la consapevolezza che a ottobre la “chiamata al voto” sarà fondamentale. E questo fatto ci deve fare capire che – al di là delle scelte di campo – ciò che è realmente importante è riportare i cittadini a votare, a esprimersi sui temi che li riguardano e a fare in modo che questo coinvolgimento sia “attivo”. Penso che a ottobre si debba votare “Sì”, perché ritengo che questa riforma istituzionale rafforzi il Parlamento nella sua capacità di produrre “buone leggi”, soprattutto quelle che possano rispettare proprio quello che la Costituzione ci ammonisce, già dal primo articolo, cioè la difesa del lavoro.

Ma ancora di più penso che a ottobre si debba votare, perché non sono tempi questi in cui non ci si può nascondere quando invece è il momento di prendere posizione.
È, quindi, indispensabile evitare una “deriva” dal merito del quesito referendario verso un pronunciamento “pro o contro Renzi”: indulgere nel gioco della torre sarebbe una distrazione, mentre il referendum non può essere ridotto a una manifestazione di gradimento o meno su una persona – nessuno può essere così importante – e nemmeno alla scelta fra un modello di senato di tipo tradizionale e uno “innovativo”.

Col referendum invece decideremo che impatto vogliamo che l’attività del parlamento abbia sulla vita delle comunità locali, dei cittadini, delle famiglie. E ovviamente sull’economia del Paese. Per questo ho deciso di votare “Sì”: per stare dalla parte dei “cittadini” e contribuire a fare in modo che il voto diventi un impegno per il futuro. Perché si possano costruire politiche adeguate a mettere le imprese e i lavoratori nelle condizioni di continuare a fare bene ciò che sanno fare, mentre si creeranno le condizioni per fare crescere, grazie alla formazione e alla ricerca, una nuova generazione di imprese e di lavoratori, con competenze adeguate ai tempi. È quello che ci ha sempre chiesto la Costituzione con il primo articolo: rispettiamola.


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