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Perché gli stress test sono dannosi e vanno aboliti. Parla il prof. Masciandaro (Bocconi)

Gli stress test così come sono non servono. Di più, sono dannosi, e andrebbero aboliti“. A dirlo a Formiche.net è Donato Masciandaro, professore di Economia all’Università Bocconi di Milano con cattedra di Economia della Regolamentazione Finanziaria. Parole che arrivano proprio alla vigilia dei risultati dei nuovi stress test sulle banche europee attesi per oggi, venerdì 29 luglio.

Professore, iniziamo con ordine: a che cosa servono questi stress test e che differenze ci sono rispetto a quelli del 2014?

Sono cambiati il numero delle banche e la metodologia. Non è cambiata la loro utilità: credo che per come sono disegnati siano inutili, come lo sono stati quelli del 2014. Come nell’esperienza americana gli stress test dovrebbero essere di due tipi: innanzitutto sulle singole banche per definire le condizioni di un potenziale default. E poi i test pubblici e generali che analizzano il sistema, termometri dello stato di salute dell’industria. I primi, i cosiddetti crash test, sono privati e riservati, ovvero noti solo all’Autorità di controllo e alla banca. Se si intrecciano i due tipi di analisi, l’esame ha senso. Così come avviene oggi in Europa, proprio no: gli stress test sono diventati giudizi sulle singole banche e questo non sono.

Anche i mercati reagiscono ogni volta penalizzando anche pesantemente singole banche. C’è stato un difetto di comunicazione?

L’errore è stato quello di far credere che gli stress test fossero qualcosa di diverso da ciò che sono. Gli errori sono più di implementazione che di comunicazione: cosa bisognerebbe cambiare? Andrebbero aboliti. No, non è un problema di comunicazione: se ci sono cartelle mediche sbagliate poi possiamo discutere di come sono state rese al pubblico, ma il punto resta che sono sbagliate.

I difensori degli stress test dicono che sono uno strumento fondamentale di vigilanza di mercato. Come risponde?

Ripeto: se ci fosse un sistema duale tra crash e stress test e questi fossero intrecciati, potrebbero essere utili ed efficaci. Così come sono se vanno bene e fotografano una situazione di stabilità dell’industria non servono a niente e se vanno male accentuano la volatilità dei titoli. Che sono oltremodo penalizzati: nessuno sano di mente o in buonafede affermerebbe che i corsi di Borsa riflettano i reali valori delle banche che rappresentano.

Dunque alla fine l’operazione invece di chiarire lo stato di salute delle banche lo aggrava. E crea volatilità ulteriore. E’ così?

Il messaggio che in generale passa è che la volatilità sia determinata dalle condizioni di salute delle banche. Mentre è vero il contrario: c’è forte volatilità sui mercati per ragioni macro. Quindi: c’è una situazione di volatilità generale che dipende dal combinato disposto di due fattori macro: un eccesso di liquidità e una forte incertezza a sua volta determinata da molte ragioni, l’ultima delle quali potrebbe essere la Brexit. Il sistema è volatile per reazione, qualunque notizia può essere un moltiplicatore, sabbia o benzina sul fuoco, e non a caso ogni giorno vediamo l’altalena dei mercati. Ma la relazione tra volatilità e ribasso va dalla prima alla seconda, non il contrario. Non sono le banche che causano la volatilità, insomma.

Visto il corto circuito, quando ne usciremo? E come?

Quello che oggi è un corto circuito può diventare un circolo virtuoso: una buona Vigilanza può risolvere l’eccessivo deprezzamento dei titoli bancari e il potenziale crollo della futura redditività delle banche. Occorre però un deciso cambio di marcia e di direzione. La politica di Vigilanza deve essere credibile per impedire due cose: che la crisi di una singola banca diventi la crisi dell’intero sistema bancario e che un problema si trasformi in automatico in crisi di insolvenza. Le regole europee già lo consentono. Ora tocca alla presidentessa Daniéle Nouy.

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