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Monte dei Paschi di Siena, ecco tappe e incognite del piano su sofferenze e capitale

FABRIZIO VIOLA MPS

La notizia cattiva è che Monte dei Paschi di Siena è la banca uscita peggio dagli stress test europei resi pubblici venerdì in serata. Quella buona è che, proprio in previsione di questo, i consulenti di Mediobanca, Jp Morgan e Lazard avevano già messo a punto un piano che dovrebbe consentire all’istituto senese di ripartire in tempi abbastanza stretti e che poggia su due pilastri: la cessione di un maxi pacchetto di sofferenze dal valore lordo di 27,7 miliardi e un successivo aumento di capitale da 5 miliardi.

I DETTAGLI DEL PIANO

Nel dettaglio, come ha spiegato la stessa Mps in una nota diffusa venerdì sera poco prima del verdetto degli stress test, le sofferenze, che nel bilancio della banca valgono 10,2 miliardi (poco più del 36% del valore originario) saranno cedute a 9,2 miliardi, vale a dire al 33% del valore lordo: una percentuale elevata rispetto al 20% scarso offerto sul mercato dai grandi fondi americani per questo tipo di crediti. Il pacchetto di sofferenze, inoltre, sarà cartolarizzato, dopodiché la tranche più sicura, ossia la senior, per circa 6 miliardi godrà di garanzia pubblica Gacs e sarà collocata presso investitori istituzionali, mentre circa 1,5 miliardi di tranche cosiddetta mezzanina saranno rilevati dal fondo Atlante (probabilmente nella sua seconda edizione, anche se si sta facendo una certa fatica a reperire le risorse) e la parte più rischiosa, cosiddetta junior, sarà attribuita pro quota agli azionisti della banca senese. La stessa cessione delle sofferenze al di sotto del prezzo di bilancio spiega, almeno in parte, la necessità di un aumento di capitale per il Monte, che è stato quantificato in 5 miliardi di euro.

INCOGNITA GARANZIA PUBBLICA

Si tratta dunque di uno schema complesso non esente da incognite e difficoltà. Tanto per cominciare, c’è il problema dei 6 miliardi di sofferenze cartolarizzate con garanzia pubblica, perché i tempi per avviare l’operazione sono lunghi e perché non ci sono praticamente precedenti, a parte quello della Banca Popolare di Bari, che comunque si è mossa su crediti per un importo molto più esiguo. Proprio per via dei tempi, Jp Morgan dovrebbe mettere a disposizione un prestito ponte da circa 6 miliardi che consentirà comunque di isolare le sofferenze in un veicolo ad hoc in attesa di poterle poi collocare tra gli istituzionali con la Gacs.

NODO AUMENTO DI CAPITALE

Ma c’è anche un’altra questione di cui non si può non tenere conto: i tempi dell’aumento di capitale da 5 miliardi non sono immediati. L’operazione dovrebbe concretizzarsi da ottobre, dopo che a settembre la banca avrà presentato il suo nuovo piano industriale, che dovrà convincere gli investitori vecchi e nuovi a scommettere sulla banca con l’aumento di capitale. Sì, perché non sarà facile per Mps battere cassa per altri 5 miliardi, dopo gli 8 già chiesti e ottenuti solo nel 2014 e nel 2015. A testimoniare le difficoltà della ricapitalizzazione, tra le altre cose, c’è il consorzio di banche che la gestirà: a parte Mediobanca, nessun altro istituto italiano ha voluto parteciparvi e anche gli stranieri che hanno detto di “sì” sono numerosi, così da fare pensare che, nel caso peggiore, sarà più facile suddividere il rischio di insuccesso. “Il consorzio di banche che in autunno dovrebbero trovare compratori di azioni di Mps per un aumento di capitale da cinque miliardi è ormai così affollato da tradire con le sue stesse dimensioni la difficoltà dell’operazione”, scrive sul Corriere della Sera Federico Fubini, che aggiunge: “Ai capofila Jp Morgan e Goldman Sachs e alla prima lista di supporto con Mediobanca, Citi, Credit Suisse, Bank of America-Merrill Lynch, Santander e Deutsche Bank, si stanno aggiungendo altri sei o otto istituti fra i quali Bbva, Société Générale e Commerzbank”. Ma c’è anche un altro problema legato sempre al consorzio: “Nessuna delle banche – sottolinea Fubini – per ora, ha garantito che comprerà le azioni di Montepaschi nel caso in cui nessuno le volesse. Da parte di Jp Morgan e delle altre c’è oggi solo un impegno a fare il “massimo sforzo” a trovare investitori. Questo significa che il rischio che l’aumento di capitale non vada in porto e debba intervenire il governo, con una sforbiciata sui creditori di Siena, formalmente non è ancora eliminato. L’operazione resta dunque sul filo, anche se non è mai accaduto negli ultimi decenni che Jp Morgan abbandonasse un incarico del genere senza condurlo in porto”.

IL RUOLO DI JP MORGAN

E proprio intorno al ruolo di Jp Morgan si apre una nuova, misteriosa questione. Secondo quanto riferito da Giorgio Meletti sul Fatto Quotidiano, il 6 luglio il capo mondiale della banca, James Dimon, ha pranzato a Palazzo Chigi con il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. A tavola con loro c’erano il capo di Jp Morgan per il Sud Europa, Vittorio Grilli, ex ministro del Tesoro nel governo di Mario Monti e per molti anni direttore generale del Tesoro, e il presidente della Cassa Depositi e Prestiti, Claudio Costamagna. Ebbene, al termine dell’appuntamento, secondo Meletti, Jp Morgan si sarebbe offerta di acquistare tutte le sofferenze e di ricapitalizzare la banca di Siena, diventandone di fatto l’azionista di controllo. Il premier Renzi avrebbe accettato l’offerta, ma avrebbe incontrato l’ostacolo del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che alla fine sarebbe riuscito a imporsi anche grazie all’aiuto del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Il piano di Jp Morgan ruotava intorno all’acquisto delle sofferenze a un valore inferiore al 20% del valore lordo, mentre come detto il piano poi prevalso, che vede sì partecipare la banca americana all’operazione ma di certo non nel ruolo di colei che acquisterà Mps, punta a sgravare la banca dei crediti al 33 per cento.

LE PAROLE DI RENZI E DI VIOLA

In un’intervista a Stefano Cappellini di Repubblica, Renzi a proposito di Mps ha dichiarato: “Con Padoan abbiamo agito all’unisono, incoraggiando una soluzione di mercato”. In realtà, come già evidenziato in un corsivo di Formiche.net, la garanzia Gacs su una parte delle sofferenze cartolarizzate e il fatto che la tranche mezzanina vada ad Atlante non rendono l’operazione pienamente di mercato, ma senz’altro lo è di più di quanto lo sarebbe stata nel caso – a cui un certo punto sembrava si stesse lavorando – in cui ci fosse stata una protezione statale sull’aumento di capitale (qui lo scoglio è stato la richiesta dell’Unione Europea di fare partecipare alle perdite almeno una parte degli obbligazionisti subordinati). Nello stesso giorno delle parole di Renzi, sono arrivate anche quelle dell’amministratore delegato di Mps, Fabrizio Viola, che si è fatto intervistare da Alessandro Graziani del Sole 24 ore: “Siamo alla svolta vera e finale che porterà Mps a essere tra le banche più solide in Italia”. E ancora: “Siamo alla fase finale di un lungo riassetto avviato nel 2012”. In questo quadro improntato all’ottimismo, Viola si rende però conto che l’assemblea degli azionisti che dovrà varare l’ennesimo aumento di capitale sarà complesso: “E’ possibile che il passaggio assembleare di ottobre sia delicato”, riconosce. E rappresenterà una ulteriore incognita in un contesto già fitto di dubbi e interrogativi.

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