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Ecco quanto è profondo l’attacco hacker (russo) ai democratici americani

Mercoledì alcuni funzionari dell’Fbi hanno rivelato al New York Times che l’attacco hacker che ha colpito i sistemi informatici di alcune strutture del Partito Democratico americano è “più profondo” di quanto fin qui ritenuto. Sono almeno 100 i computer personali di altrettanti funzionari di medio e alto livello del partito che sarebbero stati violati, sottraendo informazioni private e comunicazioni riservate (20 mila email, più o meno).

IL COINVOLGIMENTO RUSSO

I democratici avevano da subito accusato del cyber-attack pirati informatici collegati al governo russo, tesi successivamente sostenuta anche dalle autorità che indagano sul caso, anche se Mosca ha sempre smentito ogni coinvolgimento. Sullo sfondo, i collegamenti del candidato opposto ai Democratici, il repubblicano Donald Trump, dietro cui nel corso di questi mesi di campagna s’è ricostruito un network di collaboratori e interessi annodati con la Russia. Circostanza che, vista l'”alta sicurezza” che le intelligence dicono di avere a proposito del coinvolgimento dei gruppi di hacker che notoriamente lavorano al soldo dei servizi segreti russi, ha portato a speculare sull’intrigo internazionale, ossia sul fatto che Mosca abbia progettato tutto per favorire Trump contro Hillary Clinton.

IL BRIEFING CON I LEGISLATORI

I funzionari hanno confermato al Nyt quel che era già sostanzialmente noto: l’hacking, che inizialmente sembrava aver colpito soltanto i server del Dnc (il Democratic national comitee, ossia il partito) s’è esteso anche al Democratic Congressional Campaign Committee, e dunque non sono semplicemente finiti in mano agli hacker le informazioni sui big data che stanno accompagnando la campagna presidenziale “Clinton 2016” – cosa comunque non da poco –, ma sono state violate le informazioni personali dei donatori che stanno sostenendo la corsa democratica al Congresso. Più i pc dei singoli funzionari. La scorsa settimana gli investigatori dell’Fbi hanno parlato a porte chiuse con i Comitati per l’intelligence di Camera e Senato (per altre commissioni previsti briefing nei prossimi giorni), e secondo quanto rivelato da una fonte anonima al NYTimes la discussione si è “focalizzata sul fatto che i servizi segreti americani non hanno praticamente alcun dubbio che il governo russo sia dietro al furto”. Il punto centrale dell’inchiesta è adesso comprendere se si sia trattato veramente di un un tentativo russo di influenzare l’esito delle elezioni americane, oppure l’hacking rientra nelle attività di spionaggio di routine con cui tutti i governi controllano tanto i rivali quanto gli alleati. Nel primo caso la questione assumerebbe notevolmente più rilevanza, e potrebbe essere considerata un tentativo di attacco indiretto alla sicurezza nazionale.

HOTSPOT DELL’ATTACCO

La tesi è rinforzata da quanto pubblicato giovedì 11 agosto dalla Bloomberg, dove si apprende che l’attacco contro il Dnc ha avuto altri hotspot o una pianificazione ancora più ampia, e sarebbe stato coinvolto anche un ex generale dell’esercito americano, il quattro stelle Philipp Breedloveritiratosi a maggio ed ex Supreme Allied Command Europe della Nato, di cui sono stati pubblicati messaggi email spiati dal 2012 (quando ricopriva l’incarico Nato); di questi alcuni scambiati con la moglie, che lavora sulla portaerei a propulsione nucleare “USS Nimitz”. I leaks sul generale, su un ex funzionario della National Geospatial Intelligence Agency che adesso lavora per la ditta appaltatrice per la Difesa Leidos, sulla Open Society Foundation, organizzazione filantropica creata da George Soros, e quelli di un alto funzionario del Dnc di Chicago, sono stati diffusi online dal sito DCLeaks.com, registrato nel mese di aprile, riempito di contenuti a giugno. Si tratta di contenuti non così scottanti, qualche lamentale di Breedlove sul fatto che la Casa Bianca non teneva in primo piano la sicurezza in Europa, ma quello che più conta è che l’agenzia di stampa newyorchese ha informazioni in merito al fatto che questo sito è stato usato dagli stessi hacker – dunque i russi con collegamenti con i servizi di Mosca come Fancy Bear, APT28 , si presume – per piazzare in rete le prime informazioni, tutto avvenuto precedentemente alla diffusione su Wikileaks (che c’è stata a luglio). Dunque, se così fosse, l’attacco sembrerebbe essere ancora più esteso: “Le e-mail e i documenti pubblicati sul sito DCLeaks ai primi di giugno suggeriscono che gli hacker potrebbero avere un ordine del giorno più ampio che influenzare le elezioni presidenziali degli Stati Uniti, che va dalla politica dell’amministrazione Obama nei confronti della Russia e cerca di informare sulle leve nascoste del potere politico a Washington” scrive la Bloomberg. È presumibile, secondo Michael Riley, il giornalista che si occupato dell’inchiesta, che gli hacker siano in possesso di altre informazioni, che verranno pubblicate ad orologeria.

IL COLPO POLITICO

Parte dei dati trafugati al Dnc sono stati messi online da Wikileaks a luglio, con il suo fondatore Julian Assange (ora, tra le altre cose, showman del network finanziato dal Cremlino Russia Today) che ha detto di aver pubblicato i leaks sperando di arrecare un danno politico a Hillary. Un colpo, non un danno stando (per quel che contano) ai sondaggi che la vedono ancora in testa, c’è già stato: Debbie Wesserman, la presidente del partito, è stata costretta a dimettersi perché tra le mail pubblicate ce n’erano alcune che dimostravano come certi funzionari interni non erano stati imparziali nel duello alla primarie tra Clinton e Bernie Sanders, ma avevano cercato di sfavorire quest’ultimo. È possibile, stando alle ultime rivelazioni uscite in questi giorni, che anche i sistemi della Democratic Governors’ Association, l’associazione dei governatori dem, siano stati attaccati, e anche i democratici si aspettano che nuovi set di informazioni vengano diffusi prossimamente. Nancy Pelosi, leader della minoranza dem alla Camera, ha definito la vicenda un “Watergate elettronico”, e Politico racconta di una nota interna di Donna Brazile, la presidente ad interim dei Democratici, in cui si annuncia la creazione di un cyber-security board nel Dnc per contrastare attacchi futuri.

LA GUERRA DI ASSANGE

Questa settimana l’organizzazione di Assange è tornata ad alzare i toni contro il partito di Hillary Clinton, offrendo 20mila dollari di pagamento per chiunque fosse in possesso di informazioni sulla morte di Seth Rich.

Rich era un ex funzionario del Dnc di ventisette anni, trovato ucciso il 10 luglio a pochi metri dalla sua casa dil Bloomingdale, un quartiere residenziale di Washington, assassinato con due colpi di pistola alla schiena, pochi giorni dopo essere stato nominato direttore del progetto “Data-for-Voter Protection/Expansion” del partito (un progetto per “espandere il diritto di voto” lo chiama Clinton). Secondo la polizia la sparatoria è collegata a un banale tentativo di rapina finito male, ma attorno all’assassinio si sono costruite teorie cospirative del genere “è stato un inside-job perché era colui che ha passato le mail rubate a Wikileaks“, accusa sollevata indirettamente anche dallo stesso Assange in un’intervista al programma televisivo olandese “Niuswuur”. Le autorità avevano già messo una taglia da 25mila dollari per cercare informazioni sull’accaduto, Wikileaks ha rilanciato per ottenere dati a sostegno della propria indagine e ampliando lo spettro dei sospetti da offrire in pasto ai complottisti (a cui Trump da sempre fornisce sponda con le proprie predicazioni anti-establishment radicali).


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