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Che cosa penso del burkini

lode, alfano, voto

Cosa penso del burkini? Si racconta che quando inventò il primo generatore di corrente elettrica (1821), mostrandone il funzionamento ad una perplessa Regina Vittoria, il grande Faraday rispose: “A che serve, Maestà? A diventare una cosa che voi un giorno potrete tassare”. Io penso che col burkini finirà così.

In che senso? Fateci caso: i disegni che ci propongono sui giornali di questo orrido vestiario sono già stilizzati. Quanti sarti ci stanno già facendo un pensierino? E nelle interviste l’Islam ortodosso (ma che conosce i suoi polli occidentali) già preannuncia il seguente messaggio pubblicitario: “Col burkini evitate le creme, gli eritemi, i raggi ultravioletti, i tumori della pelle ecc”. Scatterà l’effetto “cibo biologico”. Frotte di imbecille col tic della “qualità della vita minacciata dalla modernità”, nella forma del nudo femminile d’estate, cominceranno a trovare “ecologico” il burkini.

Qualche maschietto imbecille, tra una recita antislamofoba, una predica multiculturale e un inno al libero arbitrio, troverà il modo di scrivere che il burkini, oramai, soddisfa più del nudo femminile (che non ha stimola più la curiosità del maschio occidentale) l’immaginazione erotica e la morbosità del maschio annoiato. E la cosa dilagherà.

Qualche stilista di grido inserirà il burchini nelle sue prossime collezioni. Qualche femminista di sinistra organizzerà burchini-pride. Vecchietti patetici e incanutiti della sinistra eterna parteciperanno ai burchini pride, con i figli in spalla, a manifestare per la libertà di coprirsi. Una furba casa di abbigliamento comincerà a produrre e promuovere il burchini della salute, come il supermarcato con i prodotti biologici. Nascerà, così, un nuovo prodotto di consumo che lo Stato (altro che battaglia culturale, presidente Renzi) potrà tassare. Tutti contenti!

Stamattina mia moglie ha avvistato un magnifico bikini in un negozio di Orbetello. Visto il prezzo se n’è ritratta, inorridita e scandalizzata. Quasi, quasi disapprovo: sosteniamo, finché ce ne resta il tempo, i simboli della nostra civiltà e libertà.


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