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Come si possono migliorare i metodi Istat su Pil e produzione industriale?

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Nel ringraziare vivamente il dottor Roberto Monducci, direttore del Dipartimento per la produzione statistica dell’Istat, per l’attenzione prestata al mio intervento su questa testata e per gli elementi di informazione e valutazione che ha voluto cortesemente offrire, proprio perché stimolato dal suo interessante contributo, avverto il bisogno di ulteriori approfondimenti sulle questioni afferenti le metodologie di rilevazione dei dati da parte dell’Istituto e sui loro risultati. Lavorando da quasi 40 anni come ricercatore industriale “sul campo”, e da tempo come consulente di organi ministeriali e Istituzioni locali su misure e interventi per lo sviluppo, dico subito che sono animato solo dal proposito di contribuire ad analisi sempre più penetranti di realtà e dinamiche socioeconomiche ogni giorno più complesse e non facilmente decifrabili (per chiunque) nella loro effettiva consistenza. Procedo per punti:

1) il Dott. Monducci, in riferimento alle misurazioni della dinamica della produzione industriale ai fini della quantificazione trimestrale del Pil, ricorda che la rilevazione che la riguarda non è quella volta a indagare il “clima di fiducia” delle imprese – comprendente un campione di 4.000 aziende – ma un’altra mensile, rivolta ad un panel di circa 4.100 imprese che, cito testualmente, “forniscono informazioni quantitative molto puntuali sulla propria produzione, sulla base di un campione di circa 1.000 prodotti, la cui produzione viene misurata in termini fisici, o attraverso adeguate proxy quale il numero delle ore effettivamente lavorate, oppure il valore della produzione deflazionato”. Osservo, al riguardo, che come per la prima indagine, svolta fra 4.000 società, così anche la seconda si compie su un campione che non sembrerebbe numericamente molto più elevato, trattandosi solo di (circa) 4.100 imprese per un campione di 1.000 prodotti. La mia domanda allora è la seguente: come vengono selezionate le 4.100 aziende intervistate, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni? Con quale rappresentatività territoriale? Partendo sempre dai cluster più numerosi esistenti al Nord? O anche da alcuni primati nazionali in certe produzioni di impianti manifatturieri nel Sud? E le imprese intervistate, poi, sono sempre le stesse, o variano periodicamente e per territori? E le risposte ricevute dagli intervistati – e delle quali comunque si è costretti a fidarsi, pena il venire meno del valore della stessa indagine – risultano sempre pienamente esaustive rispetto alle domande formulate? Il Dott. Monducci definisce le informazioni ricevute ‘molto puntuali’. Ma in base a quali parametri sono effettivamente classificabili come tali? E se qualcuna, o alcune, o molte aziende fornissero dati sottodimensionati per le motivazioni più svariate? E la terza indagine richiamata dal direttore – rivolta alla misurazione del fatturato industriale – è riferita, com’è presumibile, al fatturato effettivamente incassato al momento dell’indagine, o alla data di emissione delle fatture che potrebbero però essere saldate a scadenze temporali anche molto differite rispetto alla loro effettiva emissione? Un problema che emergerebbe (forse) soprattutto nella parte finale dell’anno, quando alcune aziende potrebbero avere interesse a differire incassi anche per ragioni fiscali;

2) è del tutto evidente che le informazioni congiunturali relative alla produzione dell’industria concorrano, ma non esauriscano, la quantificazione del Pil che deve necessariamente considerare anche altri settori, come le costruzioni e i comparti dei servizi – di cui, afferma il dott. Monducci – “viene trimestralmente misurato il fatturato”. A proposito delle costruzioni, rilevo che mentre per le opere pubbliche ci si dovrebbe riferire agli stati di ‘avanzamento lavori’ – il cui saldo alle imprese in termini monetari spesso avviene anche molto tempo dopo la consegna della relativa documentazione alle stazioni appaltanti, alimentando polemiche sui ritardi nei pagamenti della PA – per le costruzioni di edilizia abitativa privata quale indicatore viene assunto per misurarle? Le concessioni edilizie rilasciate da Comuni? Ma non sempre, lo sappiamo tutti, ad esse segue poi l’effettivo avvio dei lavori; in alcuni casi infatti le concessioni, pur ritirate a titolo oneroso, vengono lasciate decadere oltre il limite temporale di validità, per il venire meno della convenienza ad edificare. E circa la misurazione del fatturato dei servizi, è del tutto evidente (ed apprezzabile) il grande sforzo che deve compiere l’Istat per realizzarla in termini attendibili essendo, com’è noto, i comparti dei servizi – alle cose, alle imprese e alle persone – quelli nei quali si annidano quote rilevanti di sommerso con relativa evasione di oneri contribuitivi e fiscali. Ad esempio, in questi mesi di luglio e agosto le presenze ufficiali dei turisti in Puglia sono di gran lunga maggiori degli altri anni, ma quelle in B&B e in case vacanze non dichiarate come tali – come emerso da indagini delle Guardia di Finanza a Gallipoli – sarebbero di molto superiori alle ufficiali. Come vengono stimate allora? E come viene stimata la spesa giornaliera pro capite del turista, italiano o straniero che sia? Con quale proxy? Ed anche l’agricoltura con l’andamento delle sue variegate produzioni sul territorio nazionale – con i loro effettivi valori di mercato – non è un macrosettore che presenta elevati profili di problematicità nelle rilevazioni di quei valori?

3) Il dott. Monducci riconosce infine che “i problemi da me sollevati circa la piena adeguatezza delle indagini dell’Istat a cogliere la complessa e spesso frammentata articolazione del sistema delle imprese nel nostro Paese sono rilevanti” e sottolinea al riguardo che “sono problemi affrontati dall’Istat con grande attenzione e dispiegamento di metodologie innovative e con nuovi sistemi informativi in grado di monitorare annualmente i risultati economici di tutte le imprese attive in Italia”. Nel dare pienamente atto all’Istituto di tale suo sforzo, mi chiedo tuttavia – e chiedo peraltro al mio interlocutore: ma sarebbe possibile per l’Istat definire procedure di consultazione periodica anche di ricercatori opportunamente selezionati sui territori che con le loro analisi – svolte ‘sul campo’ e nelle aziende – potrebbero contribuire ad arricchire le rilevazioni dell’Istituto, o almeno alcune di esse? Peraltro le mie osservazioni, partendo dai dati del Pil dell’ultimo trimestre, intendevano aprire una riflessione approfondita su un ulteriore (possibile) miglioramento delle rilevazioni delle dinamiche strutturali del tessuto produttivo nazionale e, conseguentemente, su una più affinata rilevazione delle sue dinamiche congiunturali.

Allora alla luce di quanto ho appena scritto, non bisognerebbe essere più cauti nel definire – come invece afferma il dott. Monducci – “il complesso apparato di misurazione statistico messo a punto dall’Istat adeguato ad affrontare le sfide poste dalla crescente complessità delle relazioni economiche sia per le misurazioni di carattere strutturale, sia per quelle congiunturali”? E me lo chiedo proprio richiamandomi a quanto affermato dal mio autorevole interlocutore che – se ho ben compreso il suo pensiero – ha fatto riferimento alla “costante attenzione dell’Istituto all’emergere di nuovi prodotti, alla misurazione di specifici aspetti del sommerso” e al conseguente dispiegamento di metodologie innovative per misurazioni che, proprio perché ambiscono ad essere innovative, potrebbero essere sottoposte ad ulteriori e sempre più rilevanti affinamenti, anche dialogando con sistematicità con ricercatori qualificati presenti nei territori.

Federico PirroUniversità di Bari

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