“La leadership Usa? Oggi è più importante che mai“. Parola del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che oggi ha approfittato della sua partecipazione a un dibattito organizzato dal Centro Studi Americani (qui la gallery fotografica di Umberto Pizzi) per fare il punto sulle relazioni tra Italia e Stati Uniti a pochi mesi dalla fine della presidenza di Barack Obama.
IL RUOLO DEGLI STATI UNITI
Una funzione di guida – ha spiegato il responsabile della politica estera italiana – da esercitare, però, in modo del tutto nuovo rispetto al passato, anche recente. “E’ una leadership diversa“, ha rilevato Gentiloni, per il quale “in questo mondo fatto di tensioni e disordini” le relazioni transatlantiche sono diventate ancora più rilevanti. A una condizione però: che sia confermata “la maggiore condivisione d’intenti” dell’amministrazione Obama, visto che oggi gli Usa, inevitabilmente, “non si fanno più carico della sicurezza globale” in modo esclusivo.
LA STAGIONE DEL MULTILATERALISMO
Lo scenario geopolitico globale – ha detto Gentiloni – è ormai caratterizzato da un nuovo equilibrio. “L’impegno multilaterale non è un’opzione ma una necessità“, ha osservato il ministro. Ed è anche su questa sfida – già ingaggiata da Obama – che si misurerà la capacità degli Usa di continuare a svolgere il suo ruolo di Paese leader, ma in un contesto completamente diverso.
DALL’HARD AL SOFT POWER
Che questo cambiamento sia stato avviato dall’attuale inquilino della Casa Bianca, non ha dubbi Giuliano Amato – giudice costituzionale, professore universitario ed ex presidente del Consiglio – intervenuto anche lui al dibattito al Centro Studi Americani. Secondo Amato, uno dei principali meriti di Obama consiste nell’aver determinato “il passaggio dall’hard power al soft power“. In sostanza – ha spiegato l’ex premier – la prima opzione Usa per risolvere le controversie internazionali in passato era rappresentata dall’uso dello strumento militare, mentre oggi non è più così. “Gli Stati Uniti continuano ad avere la prima forza militare al mondo” ha dichiarato Amato, “ma l’amministrazione Obama ha dimostrato di cercare soluzioni alternative all’uso di quello strumento“.
UNA “SPECIAL RELATIONSHIP”
Ma in questo contesto sempre più multilaterale a che punto sono le relazioni Italia-Usa? “Esiste senza dubbio una special relationship“, ha spiegato Gentiloni, che ha poi indicato quali fatti, a suo modo di vedere, confermano la comunanza di idee esistente tra l’amministrazione Renzi e l’amministrazione Obama. Innanzitutto “la crisi siriana“, a proposito della quale l’Italia è stata “antesignana” della posizione poi assunta dagli Stati Uniti che il nostro Paese, oggi, sta sostenendo “molto più degli altri“. In secondo luogo la Libia, sulla quale “stiamo cooperando con gli Usa” a tutti i livelli: dal punto di vista “diplomatico, logistico, d’intelligence, militare“, e non solo. Infine, i comuni timori circa lo stop al TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), l’accordo di libero scambio tra Stati Uniti e Unione Europea. “Condividiamo le preoccupazioni del governo americano“, ha commentato il ministro degli Esteri italiano: “Siamo favorevoli all’apertura dei mercati e delle relazioni economiche“.
LE CONSEGUENZE DELLA BREXIT
Temi divenuti oggi ancor più caldi in considerazione dell’uscita dall’Unione Europea della Gran Bretagna, una sorta di ponte tra America e Vecchio Continente. La Brexit, però, non è ancora realtà: solo nel primo trimestre del prossimo anno il primo ministro inglese Theresa May invocherà l’articolo 50 del Trattato di Lisbona per recedere dall’Unione. Poi cominceranno le trattative sulle modalità dell’uscita e sui rapporti reciproci da instaurare, e solo a quel punto si concretizzerà effettivamente l’addio. “Bisogna fare presto e bene“, è sembrato dire nel suo intervento Gentiloni, che ha sottolineato la necessità “di dare certezza circa tempi e modalità dell’uscita” e ricordato come la stessa May, all’indomani del suo arrivo a Downing Street al posto di David Cameron, abbia detto: “Brexit is Brexit“. Quasi a sottolineare l’impossibilità di tornare indietro dall’esito del referendum del 23 giugno scorso
LA RETROMARCIA AUSPICABILE
Un’opinione non condivisa da Amato, il quale – partendo dal presupposto che la Brexit produrrà “danni sia per l’Unione europea che per le relazioni transatlantiche” – ha proposto un approccio diametralmente opposto: in sostanza, dilatare il più possibile le trattative e, nel contempo, porre condizioni così stringenti al Regno Unito da farlo recedere dai suoi intenti di uscita. Soluzione che l’ex premier ha consigliato di adottare per far sì che gli stessi inglesi, magari con un nuovo referendum, dicano no alla Brexit. “E’ stata un errore“, ha affermato: “Certo è una decisione del popolo sovrano, ma l’ho imparato da Rousseau che anche il popolo sovrano può sbagliare“.
IL RISCHIO EURO-ASIATICO
Tra le conseguenze più gravi della Brexit, lo stesso Amato ne ha inserita una di carattere geopolitico: il pericolo che – dopo l’abbandono della Gran Bretagna – l’Unione Europea scivoli sempre di più verso una sfera di influenza diversa da quella atlantica. “In questa fase la tentazione Eurasia sta crescendo in Europa“, ha sottolineato Amato. Affinché si verifichi questa inversione di marcia – confermata anche dagli ultimi avvenimenti in Turchia – “Putin ce la sta mettendo tutta”. “E’ una prospettiva che non condivido“, ha messo in guardia, infine, l’ex presidente del Consiglio: “Vorrei che l’Unione Europea rimanesse nell’occidente“.