L’orizzonte politico dei grillini, a Roma, rischia di essere segnato profondamente dalla legge del contrappasso. Quella per analogia. Vale a dire dalla condanna a subire gli effetti della loro (cattiva) predicazione. Doveva essere “tolleranza zero” contro la corruzione. Ed invece, nonostante la dissociazione tiepida dell’assessore Paolo Berdini, sono costretti a rinunciare ai possibili vantaggi delle Olimpiadi. Avendo paventato il rischio di un possibile quanto ipotetico prevalere del malaffare, sono costretti, come Celestino V, al “gran rifiuto”. Un assist insperato per un Matteo Renzi, che ha tante gatte da pelare.
Avevano imbracciato la mannaia del giustizialismo. Basta un minimo intervento della magistratura per determinare pollice verso nei confronti dei politici. E devono tenersi Paola Muraro, con tutti i contorcimenti che animano le cronache cittadine. Alessandro Di Battista non aveva esitato a dare del “coatto” al più british dei dirigenti del CIO. Al secolo Giovanni Malagò. Ma tutti i quotidiani riportano il baciamano del presidente del CONI a Virginia Raggi. Al punto da rendere plausibile un possibile rilancio. É stato il bue a dare del cornuto all’asino.
Hanno tuonato contro la casta. Non solo quella dei politici, che ci potrebbe pure stare. Ma anche dei grand commis d’état, negando ogni rapporto che deve esistere tra responsabilità e retribuzione. Presente e futura: perché lo stesso trattamento pensionistico, secondo quella stessa filosofia, dovrebbe prescindere dall’entità dei contributi versati. Ed ora scelgono, come assessore al bilancio, uno dei rappresentanti di quella casta di burocrati da loro tanto vituperata sovente ingiustamente.
Com’è noto Salvatore Tutino era responsabile del Secit, un organo collaterale del Ministero dell’economia, incaricato di occuparsi di evasione fiscale. Organo, più politico che tecnico, che Giulio Tremonti non amava. Tutino era stato nominato membro della Corte dei conti da Enrico Letta, nel 2013. Con una procedura che aveva fatto discutere i 5 stelle. Il Consiglio dei ministri si era riunito pochi minuti prima che la Camera approvasse la legge sul tetto delle doppie retribuzioni: la pensione come dirigenti pubblici e l’appannaggio come neo-magistrati. A beneficiarne eran stati in cinque, tra cui Tutino.
La cosa non era passata inosservata specie nella pattuglia dei grillini. Duri, allora, i commenti di Carla Ruocco (membro del direttorio) e di Laura Castelli (attuale vice presidente del gruppo alla Camera): “Cinque esponenti della casta salvati in extremis dai loro amici del PD e del Governo”. Ora uno di questi “miracolati”, secondo il lessico grillino, che nel frattempo è andato in pensione, diventa assessore, dopo un lungo percorso di guerra, che ha lasciato sul terreno morti e feriti (Marcello Minenna e Raffaele De Dominicis). Quest’ultimo, apparentemente, ancora in carica.
Raccontiamo queste storie non per mettere il dito nella piaga, ma con la leggerezza che merita. Non abbiamo mai apprezzato i Savonarola o i Torquemada, pronti alla facile indignazione e all’inquisizione. Ma solo nei confronti degli altri. Nonostante tutto a Virginia Raggi va, comunque, il nostro augurio, nell’interesse di Roma Capitale. Quanti agli altri membri del Direttorio o meno, un solo piccolo saluto: benvenuti nel mondo reale.