Nel complicato salvataggio del Monte dei Paschi di Siena, una cosa sembra essere certa: i rapporti tra la super banca d’affari Jp Morgan e il fondo Atlante si sono fatti abbastanza tesi. La prima, che dà lavoro tra l’altro all’ex ministro del Tesoro del governo Monti, Vittorio Grilli (a sinistra nella foto, con Claudio Costamagna), è la consulente che, insieme con Mediobanca, ha messo a punto il piano di ristrutturazione della banca senese, che si basa sulla vendita di un maxi pacchetto di sofferenze e su un aumento di capitale fino a 5 miliardi di euro. Atlante, invece, è il fondo di sistema che, nato su spinta delle Fondazioni e in particolare del numero uno dell’Acri Giuseppe Guzzetti, ha già messo in sicurezza la Popolare di Vicenza e Veneto banca (diventandone primo azionista assoluto) e ora dovrà acquistare parte delle sofferenze cartolarizzate di Mps. Da ricordare che dietro il fondo Atlante, in quanto soci, ci sono grandi banche come Intesa Sanpaolo e Unicredit, che hanno più di un motivo di attrito al momento nei confronti del governo, non solo per la vicenda Mps, e con Jp Morgan (qui un articolo di approfondimento di Formiche.net sul tema)
L’ATTACCO DI DE BORTOLI
Tra coloro che hanno messo nero su bianco lo scontro in corso tra Jp Morgan e Atlante c’è l’ex direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli, in un editoriale del 3 ottobre pubblicato proprio sul quotidiano di via Solferino che ha fatto parecchio discutere (con la reazione tra l’altro del renziano Marco Carrai, evocato da de Bortoli nell’editoriale e difeso dal fondatore del Foglio, Giuliano Ferrara). Prima di arrivarci, però, è necessario un passaggio introduttivo. De Bortoli parla di “un accordo tra il governo e la banca americana Jp Morgan del quale non sappiamo nulla” e di cui pertanto lamenta l’opacità e la scarsa trasparenza. Scrive ancora de Bortoli, con riferimento a una delle due gambe del piano di ristrutturazione dell’istituto di Rocca Salimbeni: “Mps cede 9 miliardi di sofferenze nette su 28 lorde. Svalutandole in bilancio, prima della cessione, si crea un ammanco di capitale che va coperto. A fronte della cessione di 9 miliardi di sofferenze, Mps dovrebbe ottenere 7,6 miliardi, di cui 1,6 da Atlante e 5 da Jp Morgan come prestito ponte per 18 mesi”.
IL GIALLO DELLA VENDITA DELLE SOFFERENZE
In realtà, la cessione del maxi pacchetto di sofferenza era stata presentata in maniera diversa dalla stessa Mps, che in una nota del 29 luglio in cui spiegando il piano di ristrutturazione parlava del “deconsolidamento dal bilancio dell’intero portafoglio di crediti in sofferenza attraverso la cessione a un veicolo di cartolarizzazione a un prezzo pari a 9,2 miliardi (ovvero il 33% del valore lordo) e la successiva assegnazione della junior tranche agli azionisti di Mps. Quaestio sgr, per conto del fondo Atlante, sottoscriverà le mezzanine notes per un importo pari a circa 1,6 miliardi”. Il fatto che la banca parlasse di “prezzo pari a 9,2 miliardi” implica che quel denaro è quello che Mps punta a incamerare dalla vendita dei prestiti malconci. Tuttavia, fin dall’inizio non si capiva bene come, poiché Il Sole 24 ore, per esempio, sosteneva che 6 miliardi sarebbero arrivati dalla cartolarizzazione della parte più sicura delle sofferenze garantita dallo Stato con la Gacs, 1,7 da Atlante che avrebbe dovuto rilevare la parte un po’ più rischiosa del pacchetto, mentre quella più rischiosa in assoluto, per 1,5 miliardi sarebbe stata assegnata a tutti gli azionisti. In effetti, in questo modo Mps andrebbe a raccogliere non già 9,2 miliardi ma poco più dei 7,6 miliardi di cui ha scritto de Bortoli. Le cronache finanziarie dei mesi scorsi parlavano di un prestito ponte di Jp Morgan da 6 miliardi per anticipare il ricavato delle sofferenze cartolarizzate con la Gacs, mentre de Bortoli sostiene che lo stesso finanziamento della banca d’affari Usa si riferisca all’intero pacchetto di crediti malandati. A complicare un quadro già quanto mai ingarbugliato c’è poi il Sole 24 ore dell’8 ottobre: il quotidiano confindustria – alle prese con crisi e tensioni interne per conti pessimi e direttore sfiduciato dalla redazione ma confermato da Confindustria (qui e qui gli ultimi articoli di Formiche.net con fatti, ricostruzioni e indiscrezioni) – scrive che il prestito di Jp Morgan riferito alla parte garantita con Gacs sarebbe sceso a 5 miliardi (dai 6 di cui si era sempre parlato) mentre la parte “di mezzo” che dovrebbe rilevare Atlante sarebbe salita a 2,7 miliardi.
LO SCONTRO CON ATLANTE
E qui entra in scena il fondo guidato dall’economista turbo-liberista Penati che ora si dedica a operazioni di sistema orchestrate anche dal Tesoro e dalle fondazioni bancarie (da lui in passato sempre bacchettate per eccesso di connubio con la politica). E a giudicare da quello che scrive de Bortoli viene quasi da pensare che i numeri, come appunto riportato dal giornale di Confindustria, siano cambiati per le tensioni con Jp Morgan. “Jp Morgan per fare una valutazione delle sofferenze ai fini del prestito, ha incaricato Italfondiario del gruppo americano Fortress mettendo in discussione la scelta fatta da Atlante che si è affidato a Fonspa”. E ancora, scrive sempre l’ex direttore del Corriere della Sera: “Qui si pone anche un duplice rischio. Il primo che Italfondiario fornisca una valutazione dei crediti in sofferenza inferiore a quella garantita ad Atlante, a tutto vantaggio delle banche creditrici, soprattutto Jp Morgan. Il secondo che si formi una posizione dominante visto che Italfondiario non si limiterebbe, come Fonspa, alla valutazione dei crediti, ma è anche il principale operatore nella gestione e nella riscossione”. A certificare lo scontro (di cui aveva parlato giorni fa Formiche.net) tra la banca d’affari americana e il fondo di sistema italiano è Andrea Greco, in un articolo di Repubblica del 7 ottobre, in cui si legge: “Jp Morgan e Atlante si stanno scannando sui dettagli del prestito ponte per cedere 10 miliardi di sofferenze Mps: la banca Usa vuole più controllo sui processi della cartolarizzazione, il fondo titanico, che compra a 27 cent quei crediti su cui Jpm si espone a 18, s’impunta”. Anche qui, però, qualcosa non torna, perché si parla di un acquisto a 27 centesimi per ogni euro di sofferenze, mentre il prezzo di 9,2 miliardi annunciato da Mps, a fronte di un pacchetto da 27,7 miliardi lordi, implica una cessione al 33 per cento.
L’OMBRA DI PASSERA
In attesa del piano industriale che il neo ad, Marco Morelli, si appresta a presentare e che potrebbe sciogliere qualche dubbio sulla cessione del pacchetto di sofferenze, restano parecchi interrogativi anche sull’aumento di capitale fino a 5 miliardi di euro. Per questo motivo, c’è ancora qualcuno che pensa possa rientrare in gioco Corrado Passera, con il suo piano che fino a ora è stato rifiutato da Mps. “In questa fase – ha scritto Greco su Repubblica – l’ex banchiere di Intesa Sanpaolo poi ex ministro ed ex candidato sindaco di Milano tace ma chi lo conosce ritiene che non abbia sotterrato l’ascia sulla sua strada verso Siena. I due fondi americani con cui si era accordato a luglio sarebbero Bc Partners e Warburg Pincus, grandi nomi per lui disposti a mettere la gran parte dei 3 miliardi su cui far ruotare la ricapitalizzazione; i detrattori dicono che soldi veri, anche lì, non ce n’è ancora”.
IL PENSIERO DI MUCCHETTI
In questo baillamme di indiscrezioni, spesso confuse, il senatore del Pd Massimo Mucchetti, ex giornalista di economia e finanza del Corriere della Sera, si pone una domanda: “Ora, queste voci provenienti dall’uno e dall’altro forno sono vere o false? Di certo influenzano il mercato, e dunque, mentre mi chiedo che cosa vigili la Vigilanza Unica, mi aspetterei che la Consob facesse chiarezza. Ma soprattutto mi aspetterei che il governo si assumesse le sue responsabilità. Magari in Parlamento. Chiarendo che, se tutto andasse male, si potrebbe sempre nazionalizzare in via temporanea utilizzando la clausola esimente dal bail in”. Si vedrà. Senz’altro l’attuale piano per Mps qualche interrogativo sembra porlo.