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Ecco forza e limiti di Stefano Parisi

Berlusconi, si sa, è uomo di mondo, poco interessato ai mezzi ed alle forme, molto di più al raggiungimento degli obiettivi. La scelta di Stefano Parisi nasce, nella contingenza berlusconiana, dalla mera constatazione, già reiteratamente espressa in passato, che occorreva “cambiare tutto” per rientrare ancora in campo. Non era facile ricollegare la sua politica alla rabbiosa Italia del 2016, dopo tanti anni di faticoso governo, quando il turno per dire le sue frasi sul fallimento del “teatrino della politica” e contro “la casta dei parrucconi” è passato a quelli dopo. Non era facile e lasciava poche alternative.

Serviva un leader nuovo di zecca che non evocasse continuità rispetto al passato. Possibilmente non una copia di Salvini e Grillo essendo il prodotto inflazionato e poco adatto al target di mercato. E pazienza che Parisi gli assomigli poco. Per Berlusconi una guida forte, carismatica, capace di parole ammaliatrici sugli italiani alla fine non sarà difficile da trovare. La incontra ogni mattino allo specchio (salute permettendo).

La forza e la debolezza dell’iniziativa di Stefano Parisi e la sua asperrima sfida passa anche da questo problematico viatico. Senza, o per carità, contro Berlusconi, nessun nuovo tentativo di incunearsi tra l’ex “rottamatore” e l’opposizione antisistema (grillina o lepenista) ha oggi grandi possibilità di tradursi in alternativa. Sarebbe sospinta verso le fallimentari esperienze civiche l’ultima delle quali, quella di Corrado Passera, ha chiuso i battenti a Milano proprio davanti agli occhi di Parisi. Sotto gli auspici di Berlusconi, anche a voler mettere da parte la sua usurata classe dirigente (i Gasparri, i Brunetta, le Santanchè che, come è normale, venderanno cara la pelle), ogni iniziativa politica rischia di essere bollata come riciccia delle note promesse e lo stesso Parisi come una maschera ad una continuità che ha dato prove di se quanto meno controverse per l’elettorato di oggi.

Da qui le acrobazie comunicative delle prime uscite che da una parte devono deferenza a Berlusconi ed al suo passato governo (che il Cavaliere pare volere più accentuata), dall’altra la chiara coscienza, che certo Stefano Parisi ha, che se vuole avere una minima speranza di riprendersi quei dieci milioni di voti persi dai delusi del centro-destra, se vuole riportare a votare almeno una parte del 40-45% di astenuti ed indecisi che i sondaggi stabilmente accreditano, dovrà prendere le distanze da esperienze politiche passate e marcare la sua alterità. Anche muscolarmente.

Ma se da quelle parti, nel centrodestra e in Forza Italia in particolare, una genuina “rottamazione” è fantascienza, notoriamente preclusa dall’assenza di contenitori contendibili come era ed è il Pd (Forza Italia è Berlusconi), un uomo navigato come il Cavaliere, grande esperto di comunicazione, sa che non può chiedere a Parisi di riconquistare l’Italia senza un feroce taglio netto con il passato, in uomini e propositi. Sarebbe come se qualcuno avesse chiesto a Renzi ai suoi esordi di presentarsi agli elettori rivendicando la sua linea di discendenza dai D’Alema, Veltroni, Prodi etc. Insomma la via è stretta. Sarà possibile accreditarsi e non disperdere quel 10% di elettorato di Forza Italia che è rimasto feticisticamente fedele a Berlusconi, e, al contempo, provare a riprendersi o andare a conquistare, quelli che non votano Forza Italia e questo centro destra perché delusi (o mai illusi) dallo stesso Berlusconi? Non proprio un gioco da ragazzi. Molte cose dunque remano contro l’iniziativa del brillante manager, non ultimo il paese reale e le sue convulsioni attuali. Un luogo rancoroso dove si guarda con sospetto chi propone di ragionare sul futuro senza dar la colpa ad altri, non suggerisce ricette a buon mercato, semplici e miracolistiche (poco importa se strampalate), dice che vuole “studiare” i problemi dotandosi delle competenze necessarie e magari inanella senza errori congiuntivi. Tutte clamorose novità nel quadro dell’attuale opposizione al governo che stentano ad essere riconosciute come tali e non è detto che paghino.

Eppure questa iniziativa, qualunque sia il proprio orientamento politico, andrebbe salutata con molta indulgenza perché ne è evidente la sua necessità ed anzi l’urgenza. L’Italia non ha tempo per aspettare altri 5 o 10 anni per provare a riorganizzare un’alternativa al campo socialista del presidente del Consiglio che abbia una piattaforma plausibile di governo e che non nasca dalla mera combinazione di materiali di risulta del vecchio centro-destra, senza una idea di paese condivisa aggiornata all’oggi. Soprattutto questa forza di governo, per essere capace di prendere senza traumi le redini del paese dal giorno dopo la vittoria alle elezioni, non dovrebbe essere sbilanciata (come i rapporti di forza oggi dicono) su posizioni eurofobiche ed autarchiche. Essere eccessivamente caratterizzata da visioni statolatriche tipiche della “destra sociale” con le sue Fornero da abrogare (80 miliardi di risparmi al 2021 al netto delle salvaguardie, magari da abbinare a puerili aliquote uniche al 15% senza il taglio di un centesimo degli 830 miliardi di spesa pubblica). L’estremismo ed il fondamentalismo di chi è in guerra contro tutto, aritmetica inclusa, non aiutano l’alternanza, ma tendono ad essere un’assicurazione sulla vita per le forze di governo bloccandola. Forse anche di questi tempi.

Come pare inimmaginabile, per una nazione dell’importanza dell’Italia, che l’unica opzione oggi data alle cancellerie europee, come ad un padre di famiglia italiano non incline alle avventure, sia sostenere il presidente del Consiglio o farsi il segno della croce per un salto nel buio cosmico di Gaia. Per quanto tempo ancora insomma quel 40-45% che non vota o non sa chi votare dovrà scegliere esclusivamente tra movimenti con il cuore nel chavismo (nazionalismo autarchico, pseudo democrazia diretta, stato pervasivo ed organizzatore di una società utopica), connotati da evidente autismo politico, e le forme di socialismo più mite del partito di governo? Perché il dato da cui partire per una nuova forza politica è proprio questo. Se quel partito di maggioranza relativa alla finestra, volesse invece seguire l’onda della chiusura, della paura, della rabbia, del revanchismo utopico contro la globalizzazione, l’offerta non gli mancherebbe. E invece aspetta. Ma cosa? Se Parisi sarà bravo, molto bravo dati i venti contrari, ad imbastire un’offerta dotata di radicalità e credibilità, alternativa alla narrazione del presidente del Consiglio ma non per questo distruttiva di ogni capacità di riconoscerci come comunità, si potrebbe avere qualche indizio al proposito.


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