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Airbnb, Banca Etruria, Popolare di Bari. Ecco come si divide il Pd in Parlamento

Maria Elena Boschi

Tasse e banche sono due dei dossier che stanno scaldando gli animi all’interno della maggioranza, e in particolare nel Pd, nel corso della discussione in Parlamento della legge di bilancio e del decreto fiscale. Le norme che stanno facendo più discutere sono quelle che da un lato riguardano l’imposizione fiscale a carico di Airbnb (imposizione stoppata dal premier Matteo Renzi in persona) e dall’altro le norme sulle banche popolari (bloccate dalla presidenza del Consiglio, ovvero dal dicastero per i Rapporti con il Parlamento, come ricostruito da Formiche.net). Ma andiamo con ordine.

IL CASO AIRBNB E GLI AFFITTI BREVI

Che il business della sharing economy nel mondo degli alloggi sia ormai diventata una realtà affermata e molto diffusa nel nostro Paese è innegabile. Proprio per questo gli albergatori hanno chiesto a più riprese di introdurre delle norme che regolamentino questo mercato. Così, la maggioranza aveva deciso di regolarizzare la posizione di centinaia di migliaia di italiani che, negli ultimi anni, hanno deciso di mettere in affitto la propria casa o una parte di essa per farla fruttare. Il risultato è stato un emendamento alla legge di Bilancio targato Pd, già approvato dalla commissione Finanze della Camera, che introduce nuove regole fiscali per gli affitti di breve periodo effettuati da privati o tramite l’intermediazione di portali online, in primis Airbnb. L’obiettivo è “favorire la trasparenza nel mercato delle locazioni di breve periodo” e “assicurare il contrasto all’evasione fiscale”.

IL PAGAMENTO DI UNA CEDOLARE SECCA DEL 21%

L’emendamento prevedeva che chi affitta – per un minimo di tre giorni – il proprio appartamento tramite portali on line, agenzie immobiliari o gestori professionali, paghi su quanto guadagnato una cedolare secca del 21%. A presentare l’emendamento è stata la parlamentare del Pd Silvia Fregolent che prevede di istituire presso l’Agenzia delle entrate un Registro nazionale unico delle attività extralberghiere non imprenditoriali in cui far confluire le generalità di chi affitta e quelle degli immobili oggetto di locazione. Non solo. L’emendamento approvato venerdì dalla commissione Finanze prevedeva anche una clausola antievasione: le somme corrisposte vanno versate «automaticamente» in nome e per conto «del debitore, dall’intermediario, in qualità di sostituto di imposta, che è solidalmente responsabile dell’imposta stessa». Airbnb Italia, insomma, o qualsiasi altro intermediario, dovrà versare direttamente al fisco la cedolare del 21%. Se non lo farà incorrerà nelle stesse sanzioni previste per il proprietario evasore. Un approfondimento utile su come era congegnata la norma si può leggere in questo post del commercialista Giuliano Mandolese, blogger di Formiche.net.

LO STOP DEL PREMIER MATTEO RENZI

L’emendamento dovrà essere sottoposto alla commissione Bilancio e, in caso di approvazione, potrebbe entrare in vigore dal 2017. Entro due mesi, il direttore dell’Agenzia delle entrate dovrà emanare un decreto per stabilire le modalità di attuazione del nuovo regime. Ma il premier Matteo Renzi si è detto assolutamente contrario all’emendamento alla legge di Bilancio: «Nessuna nuova tassa in legge di Bilancio, nessuna. Nemmeno Airbnb. Finché sono premier io, le tasse si abbassano e non si alzano #avanti», ha scritto su Twitter sabato il presidente del Consiglio. A stretto giro è arrivata la risposta di Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera: «Voglio rassicurare il presidente del consiglio e segretario del mio partito, Renzi: Airbnb continuerà a non pagare le tasse nel nostro paese nonostante l’incredibile business che fa qui da noi, esattamente come ha sempre fatto fino ad oggi», ha commentato. L’intervento è stato apprezzato dal presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa (qui l’intervento completo).

AIRBNB DI NUOVO NELL’OCCHIO DEL CICLONE

La stretta fiscale aveva acceso nuovamente i riflettori su Airbnb, già al centro di numerose polemiche per la poca chiarezza in materia di tasse. Secondo una stima di Federalberghi, la community ha raccolto introiti pari a 2,4 miliardi di euro nel 2014, con un’evasione fiscale superiore a 110 milioni, a cui vanno aggiunti 57 milioni di tasse di soggiorno non versate.

In Italia – uno dei mercati più proficui per il gigante californiano – si stima che Airbnb nel 2015 abbia versato al fisco appena 45.775 euro di imposte sugli utili. Questo in virtù di un sistema che sposta parte dei ricavi che Airbnb incassa tramite il sistema degli affitti in Irlanda, dove la tassazione sugli utili societari è molto più bassa rispetto a quella applicata in Italia.

IL DOSSIER BANCHE

Non solo il caso Airbnb ha scosso la maggioranza di governo e il Pd sulla legge di bilancio. Il Pd con le opposizioni aveva trovato un accordo su diverse questioni bancarie che era stato trasfuso in un emendamento al decreto fiscale in discussione in Parlamento. Ma un intervento della presidenza del Consiglio ha stoppato a sorpresa l’intesa bipartisan. L’accordo si basava su due aspetti. Il primo puntava a “spalmare” su più anni il conguaglio finale per il salvataggio di Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara. Ne hanno bisogno sia il governo sia le banche e il luogo prescelto era il decreto fiscale che lunedì 14 sbarcherà in Aula alla Camera per ricevere il via libera il giorno dopo. Si tratta di una somma totale di 1,8-2 miliardi che tutti gli istituti di credito italiani devono pagare al fondo di risoluzione che è intervenuto nelle 4 banche. Nello specifico si prevede che le banche versino il contributo ma che lo registrino in bilancio spalmandolo fino a 5 anni. Si avrebbe dunque una situazione per cui si registrerebbe tutto l’ammontare per “cassa” ammortizzandolo però in vari anni ed evitando così di incidere sui conti di un solo anno. Il decreto fiscale consentirebbe agli istituti di credito di giovarsi della norma entro dicembre, quando si chiudono i bilanci.

LE RICHIESTE DELLE OPPOSIZIONI

Fin qui tutto sembrava filar via liscio se non fosse che serviva il placet unanime delle opposizioni le quali, insieme a parti della maggioranza, hanno inserito nel dl fiscale un emendamento – poi cassato – che riporta da 8 a 30 miliardi gli attivi della soglia per l’obbligo di trasformazione delle banche popolari in spa. La soglia di 8 miliardi era stata stabilita dal governo nel decreto sulle popolari facendo così rientrare nella norma anche Banca Etruria. Soglia che ora, stante il crac dell’Etruria, si sarebbe potuta rialzare a 30 miliardi facendo contenti gli istituti più piccoli. Da ricordare che le altre banche maggiori si sono tutte trasformate tranne Bper e Popolare di Sondrio, che comunque stanno sopra i 30 miliardi, la Popolare di Bari – che a dicembre avrà assemblea – e la Popolare Alto Adige che aveva acquisito la Popolare di Marostica e si era trovata così spiazzata sopra la soglia degli 8 miliardi. Sull’emendamento della soglia attivi erano d’accordo sia Palazzo Koch sia il ministero dell’Economia e delle Finanze retto da Piercarlo Padoan anche perché in merito è pendente un ricorso al Consiglio di Stato dall’esito incerto.

COME E PERCHE’ L’ACCORDO E’ SALTATO

In sostanza, l’accordo di massima suonava così: passa la norma sul fondo di risoluzione per il salvataggio delle quattro banche e in cambio si torna indietro sulla soglia degli attivi delle popolari. Ma dopo conciliaboli e riunioni tecniche fra il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini, esponenti del ministero dei Rapporti con il Parlamento retto da Maria Elena Boschi, uomini del Tesoro e commissioni parlamentari competenti. Alla fine le modifiche, contenute nell’emendamento in questione, sono state giudicate inammissibili dalle presidenze delle commissioni Bilancio e Finanze della Camera. L’input di Palazzo Chigi ha avuto la meglio.


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