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Perché i dirigenti statali sbuffano un po’ sulla riforma Renzi-Madia della pubblica amministrazione

Obiettivi e rischi della riforma Madia-Renzi della pubblica amministrazione ed effetti dell’innovazione legislativa e governativa in fieri sulla dirigenza statale. Di questo stanno discutendo da settimane gli addetti ai lavori e il legislatore. Ma il riassetto dell’amministrazione e l’introduzione degli incarichi dirigenziali a tempo piace poco ai sindacati della Pubblica amministrazione, ancor meno ai tecnici del Cnel che, nemmeno a farlo apposta l’esecutivo vuole sopprimere con la riforma costituzionale prossima al referendum. Questa mattina, a Villa Lubin, sede del Cnel, si è discusso della riforma Madia e del futuro della dirigenza pubblica in occasione del convegno “La dirigenza pubblica al tempo della riforma” moderato dal giornalista del Giornale, Antonio Signorini. Le paure? Essenzialmente due. Rischio di trasformare il pubblico impiego in un campo di battaglia e timori di asservimento delle amministrazione statali alle ragioni della politica.

COSI’ LA PA RISCHIA LA GUERRIGLIA

Stefano Biasoli, consigliere del Cnel, la Pubblica amministrazione la conosce bene. E forse è anche per questo che non ha usato giri di parole nel descrivere gli effetti, a suo dire nefasti, della riforma. “La Pa aveva da tempo bisogno di una riorganizzazione, ma non certo di uno stravolgimento. E ora ha vinto l’idea che l’amministrazione pubblica non è più l’architrave dello Stato, bensì un coacervo di interessi”. Biasoli teme soprattutto una cosa. Che il meccanismo degli incarichi a tempo, dove apposite commissioni valutano l’operato dei dirigenti e indicono le gare, per la rotazione dei dirigenti, partorisca una valanga di contenziosi tra chi si sente leso della sua professionalità, se non degradato. “Con questa riforma la Pa non diventerà più moderna, bensì un campo di guerriglia tra soggetti lesi. E di questo non c’è bisogno”, ha detto.

MENO POLITICA, PIU’ EFFICIENZA

Non l’hanno mandato mandata a dire nemmeno le varie confederazioni della dirigenza statale, presenti nell’aula del Parlamentino con una nutrita pattuglia. Qui la questione è però un’altra. Gli incarichi a tempo vengono visti come una pericolosa stretta della politica sulla Pubblica amministrazione. I sindacati temono in particolare che la possibilità di rimuovere, scaduti i 4 anni (più due rinnovabili), i dirigenti sia una modo subdolo per piazzare qualche fedelissimo nei posti chiave della macchina pubblica. Il che vorrebbe dire rimetterci in efficienza per far posto alle ragioni della politica. “Questo schema della riforma è lesivo della Pa, che è la spina dorsale del Paese e apre pericolosamente le porte a uno spoil system selvaggio”, ha tuonato il presidente della Confedir Michele Poerio. Stessa musica per la Cida, per la quale la dirigenza pubblica rischia di diventare “una propaggine dell’entourage dei politici”. Altri, poi, hanno parlato di una “precarizzazione della Pa”, riferendosi agli incarichi a tempo.

L’ESEMPIO DEGLI ALTRI PAESI

A respingere la commistione tra politica e Pubblica amministrazione anche Vania Cirese, avvocato e consulente giuridico presso l’Ue. “Questa riforma lascia perplessi, perché credo sia molto pericoloso legare il destino di un dirigente al risultato”, ha spiegato. In altri Paesi, come la Francia e la Spagna, c’è un secco limite tra dirigenza e politica. I primi fanno i dirigenti, i secondi i politici. Mi chiedo a questo punto quale sia il modello di amministrazione che l’Italia vuole esportare all’estero”.


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