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La Nato, Trump e la difesa comune europea. Parla il generale Camporini

“Dobbiamo avere pazienza e aspettare di capire come vorrà muoversi il prossimo presidente degli Stati Uniti, perché da Washington dipendono molti equilibri”. E’ il commento del generale Vincenzo Camporini, ex capo di Stato maggiore della Difesa, sul futuro della Nato dopo l’elezione di Donald Trump. Camporini è stato da poco nominato membro del Senior Expert Group (SEG), costituito dall’Alleanza per supportare i due Comandanti Supremi NATO: il Comandante Supremo Alleato in Europa (SACEUR), il generale Mike Scaparrotti, e il Comandante Supremo Alleato per la Trasformazione (SACT), il generale Denis Mercier.

“La Nato ha avviato un esame per verificare se le strutture di comando sono adeguate alle future minacce da affrontare: per fare questo il Consiglio Atlantico ha pensato di affiancare ai comandanti un gruppo di advisor”, spiega Camporini in una conversazione con Formiche.net. Quale sarà il vostro compito? “I membri del SEG avranno il compito di consigliare e indirizzare i comandi in modo da tenere alta l’obiettività dell’esame, per poi avviare una revisione delle strutture”. Di che genere di revisione si tratta, per quel che è possibile parlarne? “La Nato ha vari comandi, per esempio c’è lo Shape in Belgio, c’è l’Allied Command Transformation di Norfolk in Virginia, gli Allied Joint Force Command di Napoli e Brussum (in Olanda, ndr), e poi ci sono i tre comandi di componenti: uno terrestre in Turchia, quello aereo a Ramstein in Germania e quello navale a Northwood nel Regno Unito. Tutte queste strutture sono state sottoposte a vari test e in molti casi hanno dimostrato di essere in affanno, serve un efficientamento, uno snellimento”.

Queste revisioni sembrano arrivare mentre ci si trova davanti a una fase delicata per l’Alleanza: il presidente eletto americano Trump mesi fa ha definito la Nato un sistema “obsoleto”; potrebbero essere affermazioni da campagna elettorale. E lo stesso può valere per le parole dell’advisor trumpiano Newt Gingrich: “Non sono sicuro di voler rischiare una guerra mondiale per un sobborgo di San Pietroburgo”, disse a luglio a proposito dell’Estonia (nota: il Paese è interessato dallo schieramento di un battle group della Nato con cui l’alleanza intende marcare la presenza sul territorio al confine russo e su quello dei cugini baltici Lituania e Lettonia, dove tra l’altro andrà un piccolo contingente di militari italiani). Shaun Ley ha raccontato sulla BBC le preoccupazioni degli stati baltici per le future policy della Nato: tutto il fronte orientale della Nato si sente minacciato dalle ingerenze russe e chiede risposte all’Alleanza mentre guarda con ansia le prossime mosse di Trump.

“Che cosa succederà alla Nato?” è il titolo di un articolo dell’Atlantic e il tema è tra quelli centrali in questa fase eteropica attorno al nuovo presidente americano. Ecco, appunto, che succederà? “E difficile dirlo ora – risponde Camporini – dobbiamo avere pazienza, ripeto e aspettare le prossime mosse per capirne la direzione. Trump dice che gli Stati Uniti sono stufi di pagare per difendere l’Europa e vuole che gli stati europei se ne facciano carico reciprocamente: quello che chiede è riequilibrare la situazione”. Il riequilibrio è il tema nevralgico della vittoria e della policy del prossimo inquilino della Casa Bianca anche secondo un’analisi a più ampio spettro del professore Carlo Pelanda. “Al momento sono ben pochi i paesi che riescono a farsi carico dell’impegno di mantenere la spesa militare al 2 per cento del Pil, come chiesto nuovamente e confermato al vertice di Varsavia (l’Italia è allo 0,95, ndr). Il problema – prosegue il generale – è che con l’attuale crisi economica globale, in pochi potranno fare praticamente di più, nonostante le buone intenzioni”. E dunque? “E dunque dovremmo fare meglio quello che stiamo facendo: dobbiamo fare in modo che ogni singolo euro sia investito in modo più efficiente. Ora il rendimento pratico del singolo euro messo a bilancio-difesa è molto basso”. Questo sarà anche il suo ruolo nel SEG? “No, noi non possiamo interferire con le politiche e con le scelte dei singoli paesi, però è certo che aumentare l’efficienza dei comandi aumenterà quel rapporto di rendimento”.

“Con l’elezione di Trump non cambierà molto per la Nato, sia per quello che è l’Alleanza atlantica che per quello che è al suo interno l’impegno degli Stati Uniti”, ha detto la ministro della Difesa italiana Roberta Pinotti durante un incontro all’Istituto Affari Internazionali di Roma – rassicurazioni sull’impegno americano in Europa sotto il quadro Nato erano arrivate anche dall’ultima visita europea di Barack Obama. Pinotti tra l’altro ha ricordato che l’invito a un maggior impegno degli Alleati non è una novità da parte della presidenza statunitense – sulla linea s’era messa anche Hillary Clinton da segretario di Stato e pure Obama. In quest’ottica, possiamo dire che il progetto di costruzione di un sistema di difesa comune europea, di cui avevamo già parlato su Formiche.net, potrebbe aver un ruolo positivo? “È chiaro che la migliore integrazione che si può raggiungere con la difesa comune renderebbe più efficaci tutte le strutture Nato”, spiega Camporini. “Noi europei abbiamo preso man mano consapevolezza che così non si può andare avanti, ma serve il passo conclusivo. La posizione restia del Regno Unito al progetto è stata per anni una sorta di foglia di fico, ma ora con la Brexit il re è nudo, e si vedrà chi ha veramente intenzione di andare avanti e chi continuerà a seguire interessi personali”.

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