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Cosa succederà a Pd, M5S e Forza Italia dopo il referendum

Mancano ormai tre giorni alla grande domenica elettorale, ossia alla data in cui l’Italia sceglierà se affidare il suo futuro destino politico ancora alla traccia legale di questa Costituzione oppure della nuova.

È tempo pertanto di cominciare a pensare al dopo, comprendendo con lucidità alcuni obiettivi che saranno inevitabilmente in agenda, a prescindere dai diversi scenari possibili.

Sappiamo bene che lo scacchiere elettorale ormai non è più bipolare, ma tripolare. Come comprendiamo altrettanto bene che tutti e tre, centrosinistra, centrodestra e M5s, avranno problemi di coesione interna: il Pd, oltre alla sua ala sinistra, sarà lacerato dalla dialettica dura tra renziani e minoranza interna; il M5s dovrà affrontare il tema della leadership di governo, a tutt’oggi irrisolto in continui conflitti personali e motivazioni emozionali; e soprattutto il centrodestra affronterà per l’ennesima volta la fatica di unificare le sue anime storiche, quella liberale e quella conservatrice, sopra le quali si sono sedimentate recenti e reiterate animosità.

Ovviamente, ad interessare più di tutto è il futuro del centrodestra, anche per ragioni legate al trend internazionale che vede primeggiare tale linea politica sulle altre. Ecco così che nel giorno in cui Romano Prodi ha dato il suo sofferto endorsement referendario per il Sì, Silvio Berlusconi torna ad essere di nuovo e inevitabilmente l’ago della bilancia del lacerato centrodestra.

Molto chiara, d’altronde, è l’ambiguità del leader di Forza Italia, il quale ieri sera a Porta a Porta non soltanto ha rilanciato con il No la sua riforma costituzionale; non soltanto ha esaltato il ruolo che egli avrà nel dopo voto; ma ha mostrato di poter giustificare la sua opposizione a Renzi rendendosi abile a strizzare l’occhio al rampollo fiorentino in caso di necessità.

Da questo lato, non è indispensabile rimarcare l’arcinota abilità di Berlusconi e anche tutto sommato la sensatezza di questo suo modo di ritornare in scena, quanto piuttosto riflettere sulle conseguenze politiche che deriverebbero da una possibile collaborazione di Forza Italia ad un’eventuale ipotesi di nuova maggioranza con il Pd.

In fondo, come nella migliore delle storie, ci troveremmo davanti ad un epilogo della legislatura ironicamente identico al suo inizio, quando sul governo guidato da Enrico Letta si consumò la prima tappa di quelle famose larghe intese del 2013, finite poi sgretolate ai rintocchi giudiziari e ambiziosi del calendario.

In tanto, e qui l’incognita del risultato di domenica è forte, se questo ritorno di fiamma nascesse, non sarebbe nulla di scandaloso, sebbene si determinerebbe una definitiva sepoltura del centrodestra tradizionale. Avvicinarsi, infatti, repentinamente alle elezioni politiche insieme al centrosinistra sarebbe per Berlusconi un rimanere al vertice e al centro del teatro, compromettendo tuttavia la competitività di un’alternativa di governo al centrosinistra, ormai sostituita da un centrismo a trazione Renzi.

Oltretutto, al di sopra di tutto e tutti, aleggia l’incubo Cinquestelle. I grillini, invero, che problemi ne hanno eccome in casa propria, non hanno per nulla l’angoscia di fare alleanze: sono compatti almeno in questo, e godono da soli di un terzo del consenso elettorale complessivo.

Si diradano all’orizzonte così due ipotesi diverse di centrodestra. Utilizzando il vocabolario di Aldo Moro, possiamo riconoscere nitidamente che vi è la linea del ‘confronto’ e quella dell’‘alternativa’ al centrosinistra.

La prima, inseguita attualmente da Berlusconi, o così sembra almeno, ha bisogno per funzionare di un consenso forte di Fi, oppure di capitalizzare una spaccatura definitiva tra Renzi e la sinistra; altrimenti finirebbe per essere la soluzione solo personale di Berlusconi per contare ancora un pochino prima di lasciare al presidente del Consiglio in carica la sua eredità politica ed elettorale.

La seconda ipotesi, invece, a mio avviso più limpida e lungimirante, implicherebbe invece non soltanto di accettare la discussione aperta e franca sulla leadership politica unitaria del centrodestra, ma anche di creare una corrispettiva coalizione integrata e solida tra i partiti componenti.

Di sicuro Matteo Salvini, che per altro dovrà affrontare il congresso della Lega con l’opposizione berlusconiana di Umberto Bossi, non punta a essere subalterno, sebbene possa mandare giù un eventuale ruolo di secondo in caso di sconfitta delle primarie.

E qui sta il nodo dolente, su cui gira tutto il carosello: le primarie.

Berlusconi infatti è, ed è sempre stato, contrario ad aprire un confronto con altri candidati di coalizione. Tuttavia, se egli volesse restare ancora in pista, e non è detto che non possa farlo, lo potrebbe ormai unicamente e necessariamente su mandato degli elettori, ottenuto o con le primarie o in qualche altra maniera, facendo in modo però che l’indicazione venisse comunque dalla base, e fosse perciò insindacabilmente accolta da tutti.

Il futuro del centrodestra, insomma, ben oltre le possibili macchinazioni logiche di fine legislatura, consisterà o nel trovare i fondamenti ideali della propria unità, oppure perire inesorabilmente, a prescindere dal Sì, dal No, dai governi tecnici e dalle leggi elettorali.

Non è, d’altronde, obbligatorio che l’area politica ed elettorale, rappresentata oggi da Fi, Lega eccetera, debba sopravvivere così come la conosciamo, quantunque sia assurdo pensare che quei voti andranno con Berlusconi, o altri, a Renzi, o ad un eventuale grande centro con Renzi dentro.

In un quadro così complesso e mutevole, Grillo e il segretario del Pd hanno molto da guadagnare da un Berlusconi duttile e malleabile in termini di pura quantificazione dei consensi, mentre gli elettori di centrodestra tutto da perdere.

Il Paese che uscirebbe, con o senza riforme, da un’anomalia neocentrista, contraddistinta dalla figura di un nemico storico della sinistra che sostiene ‘tecnicamente’ la sinistra, farebbe buon gioco, a ben vedere, solo a Beppe Grillo. Per questo alla fine si andrà, in ogni caso, al voto molto presto.

Lavorare, in definitiva, all’unità del centrodestra resta l’unica vera priorità. E ciò significa, in ultima istanza, operare in favore della normalità del sistema.

Si tenga presente, in aggiunta, che la destra italiana non è il Fronte nazionale francese, malgrado si richiami ad esso, ed oggi la critica politica alle istituzioni europee, una diversa idea dell’immigrazione, maggiore sicurezza, nonché una concezione della società di tipo comunitario con al centro persona e famiglia, sono valori chiari, diffusi, fondamentali, vincenti ed omogenei per tutti i liberali e per tutti i conservatori, dentro e fuori i confini italiani.


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