Tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini siamo alla guerriglia. Almeno apparentemente oggi è così. Domani si vedrà. Le incognite sul tappeto sono tante, e all’orizzonte non ci sono imminenti né le elezioni politiche e neanche, a dire il vero, un concreto accordo parlamentare sulla legge elettorale.
La tornata in scena mediatica di Berlusconi però non soltanto scuote il centrodestra, ma apre un fronte difficile con Salvini e Giorgia Meloni. La questione della guida di coalizione è semplificata apparentemente con il suo ritorno in scena, l’esclusione delle primarie e la convinzione intorno al ruolo maggioritario di FI. Nell’intervista su Repubblica Berlusconi ha spiegato la sua idea: alternativa a Matteo Renzi e al PD, ma senza cadere tra le braccia di Lega e Fratelli d’Italia.
Lo scoglio vero non è tuttavia sulle visioni generali di politica interna ed economica, bensì sulle questioni internazionali, in particolare sull’Euro. È stato sbagliato entrare nella moneta unica – ha precisato Berlusconi – ma adesso è svantaggioso uscire. Di qui il lancio della proposta di una doppia moneta e di un distacco morbido da Bruxelles quale alternativa moderata ad una quanto mai nebulosa e oscura Italexit.
A dominare il tutto è la sicurezza che la Corte Europea riabiliterà preso il leader di Forza Italia e che lo “sbruffoncello”, come Berlusconi ha definito Salvini, torni quanto prima a più miti consigli. Soprattutto l’ex-cav. sembra pronosticare come dato e concesso un primato elettorale del suo partito rispetto alle destre.
Probabilmente qui sta la nota politica di merito di Berlusconi, vale a dire la persuasione di avere ancora un quoziente elettorale forte e che gli italiani continuino a prediligere un centrodestra a trazione centrista con lui al vertice a tirare le fila.
Guardando le cose dall’altra parte, invece, Salvini non sembra disperato da questo manifesto divorzio. Sente di avere il vento internazionale in poppa e scommette su la capacità elettorale che in questo momento può avere una linea più coerente, più intransigente e per nulla concessiva, com’è la sua.
Anche sulla legge elettorale non vi è un facile accordo tra le parti. La divergenza sta nel fatto che Berlusconi punta ad avere un partito che sia, in ogni caso, rilevante per poi arrivare in coalizione dopo le elezioni, quando il quadro presenterà un tripolarismo comunque senza una maggioranza omogenea.
Salvini, per contro, non è interessato a questa logica, consapevole che in ogni modo la sua vittoria non è misurata su un quoziente maggioritario, ma su un incremento netto dei voti della Lega rispetto a prima.
Qui si denota un passaggio chiave per capire la prossima evoluzione del centrodestra. Berlusconi aveva un rapporto privilegiato con Umberto Bossi, perché la Lega era in passato un partito locale non in grado di impensierire la casa madre. Adesso, viceversa, non soltanto Salvini punta a trasformare la Lega in un partito nazionale, ma egli ha l’ambizione, insieme a Meloni, di essere trainante, sia in termini numerici e sia in quelli programmatici, anche se non dovesse superare il 20%.
In tal senso, Donald Trump, Marine Le Pen sono un viatico logico di rottura e di affermazione di una destra globale che non può non stimolare anche la nostra al colpaccio e alla distanziazione dai Popolari.
In ultimo, lasciando perdere se centro e destra si separeranno o se vi sarà un centro-destra o una destra-centro, due limiti appaiono in entrambe le posizioni.
Salvini, invero, non dà garanzie di riuscire a trasformare la Lega, anche insieme a Fratelli d’Italia, in un soggetto realmente di governo. Berlusconi invece non sembra essere chiaro nel dire da che parte sta. Specialmente davanti a un Renzi che viene sempre più spinto verso il centro, alla fine non è detto che, conti alla mano, egli non pensi di entrare in una grande coalizione con lui. Il che, a ben vedere, malgrado possa essere necessario ed opportuno da fare, ad un certo punto, non potrà non accrescere il fronte antisistema del M5S e quello anti consociativo della destra, giustificando, in definitiva, la diffidenza di Salvini verso di lui.
Come diceva Cartesio, bisogna sempre andare dal noto all’ignoto. E di certo sappiamo soltanto che si prepara un futuro di totale incertezza, senza nessun polo che sia realmente autosufficiente, con una carenza impressionante di personalità politiche nuove, complete e rappresentative. Almeno in questo l’Italia somiglia alla Germania, e la Germania all’Europa intera.