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Perché la corsa all’Eliseo è una partita a due fra Macron e Le Pen

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La partita per l’Eliseo se la giocano in due. Marine Le Pen ed Emmanuel Macron. Il dibattito televisivo ospitato da TF1 ha fotografato la situazione ad un mese dal primo turno. Gli altri candidati sono apparsi come comprimari svogliati, consapevoli della loro inconsistenza. Il profilo dei “presidenziabili” in corsa con la certezza di andare al ballottaggio rispecchia le aspettative di una Francia che non ne può più dei vecchi “alchimisti” della politica.

La leader del Front national ha messo da tempo le sue carte in tavola e non ha bisogno di tentare colpi ad effetto dell’ultima ora per convincere gli indecisi. L’inventore di En Marche! sa che muovendosi come una salamandra su una coperta scozzese ha la possibilità di confondere moderati e socialisti inducendoli a credere che soltanto lui potrà rappresentarli. “Finora destra e sinistra – ha detto Macron rivolto ai telespettatori -, senza parlare dei partiti estremisti, hanno fallito. Io voglio visi e nomi nuovi, voglio una politica moderna e responsabile, voglio un’alternanza che sia capace di ridare la speranza al nostro popolo”. Fraseologia elettorale: in altri tempi non avrebbe fatto presa. Ma oggi gli “orfani” di un gollismo credibile e di un socialismo riformista praticabile (tradito il primo da Sarkozy e da Fillon ed il secondo da Hollande e Valls) si attaccano a colui che se non altro ha rotto con la liturgia dell’incertezza incarnata dall’attuale inquilino dell’Eliseo e promette una Francia legata all’Europa attraverso il vincolo da ristabilire con la Germania.

Musica per le orecchie dei “moderati” ai quali neppure prova a parlare la Le Pen consapevole che il suo bacino elettorale è quello dei ceti vessati dalla burocrazia e dal fisco che vivono con disagio l’impoverimento e l’assenza di prospettive, incalzati da paure crescenti legate all’immigrazione; sono sostanzialmente marginali se non “esclusi” da quella che un tempo era la società affluente della quale si sentivano partecipi. “Sarò un presidente che garantirà al Paese l’indipendenza nazionale e l’integrità del territorio”, ha promesso la bionda Marine. Ed ha aggiunto: “Difenderò la nostra identità e i nostri valori, mi batterò per difendere gli interessi della gente armandoci contro la mondializzazione, ridando la parola al popolo, organizzando referendum che consentano ai cittadini di decidere sulle cose importanti della loro vita”.

Due visioni della politica e del ruolo della Francia contro il nulla di Hamon, Fillon, Mélenchon. Spariti dal dibattito pubblico e privato, sopraffatti nelle edicole e nelle librerie di Parigi da pubblicazioni sui due candidati che al momento risultano pressoché appaiati nei sondaggi. Si direbbe, dai programmi radiofonici che si ascoltano in taxi e dalle comparsate televisive (per quanto equilibrate) che siano del tutto trascurabili gli altri tre candidati: niente di più che sparring partner di Macron e della Le Pen impegnati nel far saltare il sistema multipolare.

La gente non è affatto disorientata, come si temeva qualche tempo fa. Ha capito le conseguenze che comporterà la scelta del 23 aprile e ancor più del 7 maggio. Sa valutare lo stato di afflizione in cui versano i partiti tradizionali e si prepara ad un ballottaggio tra chi si rivolge direttamente al popolo cercando di interpretarne i sentimenti profondi e chi lo vuole dalla sua parte attraverso la mediazione del cosiddetto establishment.

Se il “californiano” della politica francese (come viene definito Macron) ha il sostegno dell’alta finanza e del complesso industriale francese, tanto che Mélenchon lo accusa di essere un lobbista della mondializzazione, Marine va dritta al sodo nella speranza di intercettare la rabbia di ceti consistenti soprattutto nelle grandi periferie: “Dobbiamo avere frontiere nazionali perché non possiamo contare sugli altri Paesi, guardare ai sette milioni di poveri, tagliare le sovvenzioni agli immigrati, come la casa e l’aiuto medico, farò una politica di dissuasione”. La perorazione andrà a buon fine?

È possibile. Quattro indecisi su dieci non sanno per chi votare. La Le Pen è più facile che li convinca, ma Macron si sta comportando come se dovesse – senza mai dirlo – favorire la ricomposizione nelle urne dell’Union sacrée contro la Le Pen. Tutti i voti sono buoni, perfino quelli della sinistra radicale (se per un momento smettesse di disprezzarlo), al fine di raggiungere lo scopo. Il “Programma” che pure aveva agitato nelle prime battute elettorali di Macron non è più il Vangelo, ma come ha osservato “Le Monde diplomatique”, il giovanotto che è stato banchiere e ministro, che si diletta di musica, economia e filosofia, è impegnato nella capacità di dimostrare come si può tenere insieme “la destra della sinistra e la sinistra della destra”. Personaggi influenti ed eminenti vicini alla Cgt da un lato e ai circoli prossimi a Strauss-Kahn dall’altro sembra si stiano dando molto da fare per l’ex-pupillo di Hollande. Si è chiesto il giornale citato in un articolo dei sociologi François Denord e Paul Lagneau-Ymonet, a Macron “basterà mettere insieme il mito, figlio di Pompidou, del banchiere letterato competente in affari e il fantasma, eredità giscardiana, del giovane uomo progressista?”.

L’interrogativo è intrigante. Roba da intellettuali, comunque. Al Trocadero e nel Marais si sente dire che questa Europa è “nemica” della Francia, ma la Francia senza l’Europa che fine farà? Nelle banlieues poco importa dell’Europa e di tutto il resto: la sera scende come una minaccia. La sicurezza ed il salario non divorato dalle tasse accende le discussioni tra borghesi, indigenti e perfino immigrati, a Parigi come nella profonda campagna del sud e del nord. Le praterie di Macron e della Le Pen sono immense.

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