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Come Donald Trump sta ribaltando le politiche di Obama su clima ed energia

Alle 14:00 (ora di Washington, DC) di martedì il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato l’ordine esecutivo “Energy Independence”, con il quale intende dare nuova spinta ai settori produttivi legati all’energia fossile, e affossa molte delle misure climatiche adottate dal suo predecessore Barack Obama.

L’ORDINE

Con il decreto di Trump, l’Epa, Eviromental Protect Agency, si inizia lo smantellamento del Clean Power Plan, il piano normativo obamiano che investiva miliardi di dollari su incentivi per l’energia verde (eolico, solare, geotermico) e in ricerche sui cambiamenti climatici. (Nota: di fatto il CPP è nelle mani della corte d’appello federale del District of Columbia, dopo che vari ditte e 27 stati hanno presentato esposti contro il provvedimento, che è da un anno sospeso, dopo essere entrato ancora in vigore per appena sei mesi). Il nuovo corso dell’amministrazione americana è molto meno allineato del precedente sul problema – si ricorderà che Trump nel 2012 disse in tweet che i climate change erano una bufala inventata dai cinesi per colpire l’economia americana, e anche il capo voluto da Trump all’Epa, Scott Pruitt, è piuttosto settico sull’argomento. L’ordine esecutivo firmato martedì prevede l’eliminazione del tetto alle emissioni di CO2, minor controllo da parte dello Stato centrale, meno restrizioni per le trivellazioni, maggiori possibilità di sfruttare le miniere di carbone eliminando una moratoria che ne impedisce l’uso su terreni federali.

INDIPENDENZA ENERGETICA E LAVORO

Secondo la visione dell’amministrazione questi saranno i modi per raggiungere il mito dell’indipendenza energetica (promesso in televisione già nel novembre del 1973 da Richard Nixon), aumentando contemporaneamente i posti di lavoro nel settore minerario per estrarre il carbone. Quella del carbone è considerata – anche se erroneamente – la più colpita delle industrie  energetiche dal vecchio corso ambientalista della precedente amministrazione, invece Trump ha promesso di “di salvare i nostri meravigliosi minatori” anche durante un recente evento in Kentucky. In un’immagine: mentre martedì firmava l’ordine, attorno al presidente c’erano minatori e dirigenti di ditte che lavorano nel settore estrattivo; molti di questi lo hanno votato anche perché hanno creduto alle promesse che la sua vittoria avrebbe dato nuova spinta produttiva.

SI CREERANNO PIÙ POSTI DI LAVORO?

Trump vuole ri-orientare l’azione di governo in modo che petrolio e carbone tornino a essere le due materie prime principali per la produzione energetica. Ma, come spiegato da Bloomberg, “il carbone per generare elettricità è [già] in declino a causa di precedenti regolamenti di inquinamento e della concorrenza del gas naturale a basso costo, del solare e dell’eolico”. L’abolizione della moratoria che limita gli sfruttamenti e di alcuni parametri costruttivi da rispettare inclusi nel CPP, potrebbero permettere un incremento dell’uso di carbone, e questo in linea teorica andrebbe a discapito del gas naturale (diventato negli ultimi anni una specie di orgoglio americano prodotto in buona parte dagli shale). In realtà è difficile che si rinunci al vantaggio economico del gas di scisto. (Nota sull’aumento dei posti di lavoro: oltre alla poca convenienza del carbone come materia prima, il calo delle occupazioni è da collegare all’aumento delle tecnologia e dell’automazione).

IL NODO POLITICO INTERNO…

Smantellare il piano di Obama è un percorso lungo che potrebbe essere rallentato dalle opposizioni in tribunale da parte dei gruppi ambientalisti. Il ritiro dell’amministrazione dalle sovvenzioni per le energie verdi, inoltre, si porterà dietro anche uno scontro politico. I democratici non molleranno il punto, e cercheranno di calcare sul consenso congressuale di cui gli incentivi verdi godono. Molti politici repubblicani apprezzano, sia per ragioni ideologiche (per esempio, i californiani), sia per questioni legate alle attività industriali dei propri collegi elettorali (per esempio quelli che vengono da aree del paese in cui si producono elementi per le energie rinnovabili, e dove le aziende hanno investito in queste). Dei 5,9 miliardi di dollari distribuiti nell’anno fiscale 2016, il 47 per cento è andato in distretti repubblicani, dove i finanziamenti anche per progetti che riguardano studi sul clima hanno permesso la creazione di svariati posti di lavoro – e difficilmente i legislatori vanno contro condizioni che producono occupazione ed economia nei propri collegi elettorali. Una situazione che mette nuovamente Trump contro un pezzo del partito e lo pone su un altro difficile piano al Congresso.

… ED ESTERNO

Il Clean Power Plan, con il quale gli Stati Uniti avevano progettato la riduzione delle emissioni di gas serra del 32 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005 (e lo smantellamento graduale delle centrali elettriche a carbone), era entrato in vigore nell’agosto del 2015, ed era anche un enorme messaggio politico a livello globale. Di lì a pochi mesi, in dicembre, si sarebbe tenuta la grande conferenza sul clima di Parigi, nella quale quasi tutte le nazioni del mondo si sono impegnate a fare di più per preservare l’ambiente, anche a fronte delle pressioni e delle iniziative avviate da Washington. Quale sarà adesso la reazione internazionale a un’America che si disimpegna dal programma? Si pensi a paesi come la Cina e l’India che sono in forte crescita e filosoficamente non troppo inclini a limitare le produzioni di emissioni.

LA REAZIONE EUROPEA (+EXXON)

“Ci rammarichiamo che gli Stati Uniti stiano tornando indietro sul pilastro principale della sua politica climatica, la produzione di energia pulita. Ora, resta da vedere con quale altri mezzi gli Stati Uniti intendono far fronte ai propri impegni nel quadro dell’accordo di Parigi” ha commentato Miguel Árias Cañete, Commissario per il Clima dell’Unione Europea. In una lettera diretta alla Casa Bianca, anche il gigante petrolifero americano Exxon Mobil, ha chiesto che gli Stati Uniti si impegnino, nonostante le nuove direttive, a rispettare gli accordi di Parigi. La circostanza è interessante, perché fino a poco tempo fa la Exxon era guidata dall’attuale segretario di Stato Rex Tillerson. Trump nell’ordine non ha fatto menzione del ritiro americano dal protocollo deciso due anni fa nella capitale francese, ma stante le proposte di cambiamento pare inverosimile il rispetto degli impegni presi.

(Foto: WhiteHouse.gov, il momento della firma)

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