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Come avanzano le donne militari tra famiglie e forze speciali

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L’ultimo ostacolo sta per cadere e presto le donne faranno parte anche delle forze speciali. L’ha anticipato il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, spiegando che per ora non sono ancora in grado di superare i test d’ingresso, “ma i comandanti mi dicono che presto lo saranno”. Dopo la rivoluzione avviata nella seconda metà degli anni Novanta e le prime ragazze in divisa del 2000, gradatamente le donne stanno occupando tutti i posti che si pensava fossero riservati solo agli uomini, come nei sommergibili. Il ministro ne ha parlato alla presentazione della ricerca dell’Istituto affari internazionali su “Le donne nelle missioni internazionali. L’esperienza italiana a Herat”, curata da Paola Sartori e Alessandra Scalia.

La presenza femminile nelle Forze armate è ormai considerata ovvia anche se per ora rappresenta solo il 5 per cento del totale. Una presenza che ha comportato una novità come gli asili nido nelle caserme (anche se la prima richiesta in questo senso arrivò da un uomo, ha ricordato il ministro). Un asilo è già stato inaugurato e altri 17 sono in via di realizzazione grazie a 12 milioni stanziati in bilancio. Strutture gestite da cooperative che, una volta esaurite le esigenze dei militari, saranno aperte anche alle famiglie che abitano in zona. I vertici militari sanno che una maggiore attenzione alle esigenze familiari diventa sempre più necessaria. Per il capo di Stato maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano, gli asili sono indispensabili perché “è impossibile che la fascia tra i 25 e i 35 anni venga esclusa dalle missioni internazionali”; nello stesso tempo il ministro Pinotti ha spiegato la difficoltà di coordinare un periodo di comando da assegnare a una donna ufficiale con l’eventualità di una gravidanza, con l’obiettivo di salvare la maternità senza costringere a rinunciare a una fase di carriera.

La ricerca dello Iai fotografa la trasformazione in atto dall’11 settembre in Afghanistan dove le donne trovano sempre maggiore spazio senza nascondersi, però, la drammatica situazione generale. Oggi sono 200 le unità femminili nelle forze speciali afghane, ma solo 1.400 sul totale di 195 mila unità dell’esercito. Nello stesso tempo, dal 2005 al 2012 l’alfabetizzazione femminile è salita dal 29 al 48 per cento e nell’area di Herat (da sempre sotto il controllo italiano) le studentesse sono il 40 per cento degli iscritti all’università. Secondo le ricercatrici Iai, le iniziative della cooperazione civile-militare (Cimic) portate avanti dal contingente italiano dovrebbero puntare a una sempre maggiore interazione con la popolazione locale; gestire gli investimenti internazionali verificando i progetti di sviluppo: da un lato la corruzione è massiccia, dall’altro vanno coinvolti gli uomini che lamentano privilegi a favore delle donne; utilizzare i media visto che il 98 per cento degli afghani ascolta la radio; intensificare la collaborazione tra Cimic e altre organizzazioni che, secondo la ricerca, era più efficace durante la missione Isaf piuttosto che nell’attuale Resolute support.

Nel convegno non sono mancati riferimenti allo “stato di salute” attuale delle Forze armate e alla loro evoluzione negli anni. Le polemiche non mancano, ma oggi “sono meno virulente del passato”, ha detto il ministro riferendosi all’acquisto degli aerei F35 per Aeronautica e Marina, perché oggi la società capisce che “c’è bisogno delle risorse per la Difesa”. Si sa che i militari italiani sono apprezzati sempre e in tutte le missioni. Il presidente della Rai, Monica Maggioni, ha ricordato la sua esperienza da giornalista nell’Iraq del 2003 quando, dopo tre mesi passati con i militari Usa, un soldato semplice italiano le sembrava appena uscito dal Mit rispetto a un americano. E un bel complimento è stato quello fatto a Pinotti e Graziano da un autorevole esponente statunitense secondo il quale gli italiani sono “i soldati più etici del mondo”. I più etici e anche i più educati, forse. Graziano ha ricordato un episodio di quando, da colonnello, frequentò la scuola di guerra americana e una volta aprì galantemente la porta a un colonnello donna statunitense. Questa gli disse che è una cosa che non si fa tra pari grado, forse perché la mentalità yankee non sa distinguere tra galanteria e gerarchia. E’ probabile che, a nazionalità invertite, una donna ufficiale italiana avrebbe gradito il gesto, dimostrando poi di essere “pari grado” in un teatro di operazioni.


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