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La super bomba di Trump in Afghanistan è un messaggio ad alleati e nemici

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Alle 7:32 pm del 13 aprile gli Stati Uniti hanno sganciato contro postazioni dello Stato islamico in Afghanistan la GBU-43/B Moab, acronimo di Massive ordnance air blast, il più potente degli ordigni dell’arsenale americano convenzionale (dopo ci sono le bombe atomiche). Probabilmente un C-130 modificato, versione Combat Talon in uso alle forze speciali, ha lanciato quella che per acronimo e potenza viene definita “Mother of all bombs”, “madre di tutte le bombe”. Nove metri di lunghezza e undici tonnellate di esplosivo che, spiega il comunicato stampa del Pentagono, sono andate a colpire una serie di tunnel nel distretto di Achin, provincia del Nangarhar, l’area al confine con il Pakistan da qualche mese sotto il controllo dei baghdadisti afghani.

IL CALIFFO NEL KHORASAN 

Il generale John Nicholson, capo delle forze americane schierate in Afghanistan, dice che questo è il tipo di ordigno giusto per disarticolare i combattenti del Califfato, che si nascondono tra le montagne e lì costruiscono i mezzi esplosivi con cui lanciano gli attacchi – una settimana fa le forze locali hanno provato un’avanzata, ma sono state respinte e nella zona un soldato americano è rimasto ucciso. La nota del Pentagono chiama il gruppo jihadista afghano “ISIS-K”, dove quel “K” finale sta per Khorasan, regione storica a cavallo tra Afghanistan, Pakistan, Turkmenistan e un pezzetto d’Iran. A gennaio del 2015 fu il portavoce di tutto lo Stato islamico, Abu Mohammed al Adnani (poi ucciso l’estate scorsa da un bombardamento americano in Siria), a comunicare attraverso un messaggio radio l’istituzione della provincia del Khorasan del Califfato – all’espansione era stata data importanza perché rappresentava anche un farsi beffa di al Qaeda, amica dei talebani e rispettosa del ruolo di guida di tutti i credenti del defunto capo talebano Mullah Omar, uno dei sostanziali punti di contrasto tra le due grandi fazioni del jihad globale. (Tecnicismo: il Pentagono dice che l’ISIS-K è “anche conosciuto come Khorasan Group”, un nome che chi segue le dinamiche del conflitto anti-IS ricorderà collegarsi alla prima salva di attacchi americani in Siria. Ai tempi l’amministrazione Obama spiegò essere una fazione, fino a quel momento sconosciuta, legata all’allora qaedista Jabhat al Nusra e addestrata per compiere attacchi all’estero, la cui esistenza è stata smentita dal capo di al Qaeda in Siri durante un’intervista con al Jazeera. Ora torna, ma dall’altra sponda del jihad).

IL MESSAGGIO POLITICO

Nicholson spiega che l’uso della Moab, che nel 2003 era stata trasferita in Iraq per dar forza all’invasione ma non era stata impiegata, era una necessità tecnica decisa direttamente dai comandati sul campo in accordo col CentCom, il comando del Pentagono che segue la regione mediorientale. Coprire con l’esplosione un’ampia area in cui i baghdadisti erano asserragliati su linee di difesa difficili da penetrare, era la motivazione tattica dell’uso. Ma è lecito pensare che dietro ci siano diverse categorie di messaggi lanciati dall’amministrazione Trump, anche per il risalto che il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer ne ha dato in conferenza stampa. Il primo, per esempio, riguarda la lotta la terrorismo: una delle volontà di Donald Trump era dare una spinta in questo senso alla sua azione militare. Possibile si stia cercando di evidenziare queste azioni scenografiche a confronto delle più riflessive operazioni di Barack Obama. L’attacco in Afghanistan sta riempiendo i media di tutto il mondo, e allontana l’azione dimostrativa contro il regime di Bashar el Assad dall’opinione pubblica: riposiziona la lotta al terrorismo al centro del mirino, dopo che in troppi avevano cominciato a parlare di una svolta globalista del presidente, che non piace al suo elettorato più convinto.

L’INPUT ALLA NATO

Contemporaneamente manda un messaggio agli alleati sull’impegno americano, mostrando Washington disposto a investire tutto il proprio arsenale per contrastare il terrore. Qui c’è un aspetto da non sottovalutare: la Moab cade in Afghanistan il giorno seguente della visita del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg a Washington. Trump e Stoltenberg hanno parlato parecchio della situazione afghana, il segretario ha ricordato che quella ancora in corso è stata la più grande operazione congiunta dell’Alleanza, ed è legata all’applicazione del Capitolo V dello statuto, quello che prevede la reazione collegiale se un membro viene attaccato, attivato per richiesta di George Bush dopo l’11 Settembre (i Talebani davano protezione ai qaedisti che avevano attaccato l’America). Nella conferenza stampa congiunta di mercoledì, Trump ha sottolineato che a breve il capo del Consiglio di Sicurezza nazionale, Herbert McMaster (fulcro dell’azione strategica americana in questo momento), sarà a breve in Afghanistan “per capire che tipo di progressi possono essere fatti insieme ai nostri partner locali e a quelli della Nato”. Il presidente americano ha anche ricordato che da quando l’Alleanza si è concentrata di più sulla lotta al terrorismo come da sue volontà, “non è più obsoleta”, tornando su una definizione data da lui stesso durante la campagna elettorale, diventata insostenibile davanti al segretario (anche se in realtà la Nato di cambiamenti sostanziali non ne ha fatti troppi negli ultimi mesi).

LA MINACCIA A KIM

Altro aspetto da non sottovalutare nel messaggio implicito dietro alla super-bomba sganciata da Trump – ma magari sono solo coincidenze – lo ricorda Guido Olimpio sul Corsera. La Moab, che serve per colpire istallazioni protette e fortificate, in passato era una delle opzioni militari valutate per distruggere i centri di arricchimento atomico dell’Iran, costruiti lungo i costoni rocciosi delle montagne. Uno scenario simile a quello nordcoreano: “Il regime ha realizzato molte installazioni-bunker ed hanno piazzato in gallerie centinaia di pezzi d’artiglieri che minacciano Seul” spiega Olimpio, “dunque è possibile che l’attacco nell’area afghana abbia anche un valore di guerra psicologica nei confronti degli avversari”.



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