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Perché sono strampalate le idee dei 5 Stelle di Grillo sulle pensioni

Usa mattei, Giuliano Cazzola, Trump, movimento 5 stelle

Continua la consultazione sul programma elettorale del M5S. Dopo l’exploit di Giorgio Cremaschi sul ruolo del sindacato, sul blog è proposto un quesito in materia di pensioni, che, a leggerlo con attenzione, è un insieme di idee pericolose prima ancora che strampalate. Facciamolo insieme: “Con quali strumenti si deve superare l’attuale sistema previdenziale a ripartizione con contribuzione obbligatoria stabilita per legge e soglie rigide di uscita dal mondo dell’occupazione?’’. A prendere il testo alla lettera sembrerebbe che il “grillismo militante’’ auspicasse un sistema privato a capitalizzazione, con garanzia di uscita flessibile (ovviamente con la liquidazione del trattamento maturato in rapporto ai contributi versati, in modo volontario, e dei rendimenti ottenuti dal loro investimento sui mercati finanziari). Bene, il modello c’è già. Basta copiare quello applicato in Cile da Pinochet. Ma resta da risolvere un piccolo problema. Se le pensioni del futuro sono finanziate con il metodo della capitalizzazione, chi (e come) vengono ‘’coperte’’ quelle in essere, finanziate a ripartizione? I versamenti dei pensionati di oggi non sono custoditi nell’enorme forziere di Zio Paperone, ma sono stati utilizzati, quando i titolari di oggi ancora lavoravano, per finanziare i trattamenti allora vigenti. Questa è la catena di Sant’Antonio della ripartizione: con i contributi dei lavoratori dipendenti si finanziano le pensioni in essere con la promessa da parte dello Stato che quando i lavoratori andranno in quiescenza, ci sarà un’altra generazione di lavoratori che farà onore ai diritti da loro maturati. E’ agevole comprendere dove casca l’asino della ripartizione: le generazioni future saranno chiamate a garantire ai padri e ai nonni, con queste crescenti dei loro redditi, prestazioni che loro non si potranno permettere. Ma dalla trappola della ripartizione non si esce. Se si volesse cambiare sistema e spezzare questa perversa catena, occorrerebbe, infatti, trovare le risorse per continuare a corrispondere le rendite dello stock vigente: un esborso da 250 miliardi l’anno. Le nuove generazioni di lavoratori ‘’capitalizzarebbero’’ i loro contributi. Ciascuno per sé.

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Davide Giacalone ha pubblicato con l’editore Rubbettino un saggio dal titolo ‘’Viva l’Europa viva’’. Scrive Giacalone: “Dirsi europeisti è diventato un problema, un’affermazione che desta reazioni vivaci. Taluni credono sia quasi un segno di follia. E io sono un europeista”. Bravo Davide! Anch’io mi onoro di esserlo.

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Il 18 aprile è una data importante. Dovrebbe essere una festività nazionale, come il 14 luglio in Francia. In quel giorno, nel lontano 1948, il popolo italiano (allora vi erano percentuali di votanti superiori al 90%) salvò la democrazia e la libertà appena riconquistata attribuendo alla DC la maggioranza assoluta dei seggi e sconfiggendo il Fronte popolare di matrice socialcomunista. In verità, in un Paese che ha subito per anni l’egemonia del Pci (anche perché era un partito coi controfiocchi, con gruppi dirigenti capaci e militanti disciplinati) questa ricorrenza è stata ritenuta infausta, come se allora gli italiani avessero perso una grande occasione. In verità, quel voto salvò anche la sinistra da se stessa.


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