Chissà che cosa pensa il presidente della Repubblica quando nella rassegna stampa quotidiana trova frequentemente date di possibili elezioni anticipate. Se ci limitiamo solo agli articoli dei più autorevoli quotidiani delle ultime settimane, le date potrebbero essere le seguenti: 24 settembre, 1 ottobre, 8 ottobre, 5 novembre, 19 novembre. Un’altra opzione e possiamo tentare la sorte al Superenalotto. Sergio Mattarella il 26 aprile ha incontrato i presidenti del Senato e della Camera, Pietro Grasso e Laura Boldrini, e ha lanciato l’ultimo pressante invito a varare una nuova legge elettorale che armonizzi le attuali norme delle due Camere, ottenendo almeno che i capigruppo di Montecitorio fissassero al 29 maggio la data per una discussione in aula.
L’inizio di una discussione non vuol dire che si troverà presto un accordo, naturalmente, anche perché tutti sono in attesa di capire le mosse di Matteo Renzi all’indomani delle primarie che lo confermeranno segretario del Pd. E’ probabile che si intensificherà una lotta sotterranea tra lui e il Quirinale da un lato e tra tutti i partiti dall’altro. D’altra parte, Mattarella non vorrebbe usare l’ultima arma a sua disposizione, il messaggio alle Camere, una specie di “arma fine di mondo” da dottor Stranamore perché metterebbe a nudo le debolezze e le forzature del mondo politico.
E’ però curioso che a ogni data per ipotetiche elezioni anticipate (spesso seguendo i desiderata di Renzi) non corrisponda sui giornali una spiegazione tecnica di che cosa succederebbe se quella data diventasse realtà. Facciamo un po’ di conti. Il governo di Romano Prodi, che vinse le elezioni del 9 e 10 aprile 2006, ottenne la fiducia il 23 maggio, cioè 43 giorni dopo; il governo di Silvio Berlusconi, che vinse le elezioni del 13 e 14 aprile 2008, la ottenne il 15 maggio, 31 giorni dopo; il governo di Enrico Letta, che venne formato dopo le elezioni del 24 e 25 febbraio 2013, ebbe la fiducia il 30 aprile, 64 giorni dopo, a causa della “non vittoria” di Pierluigi Bersani. Dunque come minimo occorre un mese dalla data del voto, ma nell’attuale situazione tripolare (centrodestra, centrosinistra e M5s) è possibile uno stallo all’indomani della chiusura delle urne e quindi tempi più lunghi per la fiducia.
Prendiamo come esempio l’ipotesi del 5 novembre avanzata dal Corriere della Sera del 29 aprile. Le elezioni politiche coinciderebbero così con le regionali in Sicilia, storicamente un test molto significativo (in precedenza si era indicato il 24 settembre, lo stesso giorno delle elezioni tedesche. Che c’entrano? Non si sa). Le Camere andrebbero sciolte a metà settembre, cioè almeno 45 giorni prima, quindi di fatto la campagna elettorale sarebbe già viva ad agosto. A settembre di solito il ministro dell’Economia e i tecnici del suo dicastero sono al lavoro sulla legge di bilancio, oltre al fatto che entro il 20 settembre il governo deve presentare al Parlamento la Nota di aggiornamento al Def. Entro il 15 ottobre, poi, il governo deve inviare il Documento programmatico di bilancio dell’anno successivo alla Commissione Ue e all’Eurogruppo.
Un governo dimissionario preparerebbe dunque una manovra che si annuncia durissima ben sapendo che quello successivo potrebbe non condividerla. Inoltre, sarebbe interessante capire se le Camere la voterebbero: in passato ci sono stati casi eccezionali di approvazione della legge finanziaria anche con il Parlamento in regime di prorogatio e l’articolo 77 della Costituzione consente al governo, “in casi straordinari di necessità e urgenza”, di adottare “provvedimenti provvisori con forza di legge” da presentare subito alle Camere sciolte che devono riunirsi entro cinque giorni. Dunque, in teoria il governo Gentiloni vara la legge di Bilancio per decreto e il Parlamento sciolto la approva. E’ credibile? Se per caso venisse superato questo piccolo ostacolo (senza pensare a che cosa succederebbe a Bruxelles di fronte a tale spettacolo), dal 5 dicembre in poi il nuovo governo otterrebbe la fiducia e si troverebbe con un bilancio 2018 fatto da altri. Visto che le guerre intestine e trasversali difficilmente consentirebbero l’approvazione di una legge di bilancio a Camere sciolte, la patata bollente toccherebbe al nuovo esecutivo a pochi giorni dalla fine dell’anno e, dunque, con il serio rischio dell’esercizio provvisorio.
Nel discorso di fine anno del 31 dicembre Mattarella fu chiarissimo: “Chiamare gli elettori al voto anticipato è una scelta molto seria”, disse, e dunque “occorre che vi siano regole elettorali chiare e adeguate perché gli elettori possano esprimere, con efficacia, la loro volontà e questa trovi realmente applicazione nel Parlamento che si elegge. Queste regole, oggi, non ci sono”. In un successivo passaggio aggiunse che “con regole contrastanti tra loro chiamare subito gli elettori al voto sarebbe stato, in realtà, poco rispettoso nei loro confronti e contrario all’interesse del Paese. Con alto rischio di ingovernabilità”. Adesso quella data del 29 maggio impone a tutti i partiti almeno di cominciare un confronto che si annuncia lungo e complicato e se Renzi continuasse a forzare la mano la tensione si alzerebbe inevitabilmente. Mattarella potrebbe davvero pensare a un messaggio alle Camere e se si andasse comunque al voto in autunno non si potrebbe escludere l’arrivo della “troika” con ampio uso di forze speciali economico-finanziarie. Quella sì sarebbe per l’Italia la “fine di mondo”.