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Perché il Pil non misura più il benessere reale. Parola di Fitoussi

FITOUSSI

“Mi ricordo di un episodio con un Primo Ministro francese: aveva promosso una buona politica che aveva fatto tornare la crescita al 4% tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio dei 2000. Io gli dissi che avrebbe perso le elezioni successive. Mi rispose «Ma il PIL si è molto alzato!» e io «Sì è vero il PIL si è molto alzato, ma solo per i più ricchi»”. I protagonisti del siparietto all’epoca erano il Primo Ministro socialista Lionel Jospin e l’economista francese Jean-Paul Fitoussi. Jospin aveva fatto varare la legge che abbassava le ore lavorative settimanali da 39 a 35: una delle riforme più controverse e simboliche degli ultimi 20 anni in Francia. Ma Fitoussi aveva ragione: abbassate le ore di lavoro si abbassarono anche i salari familiari e a rimetterci furono in primis i ceti poveri e poi Jospin stesso, che perse le elezioni al turno successivo.

A distanza di 15 anni Fitoussi è ancora convinto che non si può fare politica economica basandosi solamente sul PIL: venerdì 31 lo ha ribadito alla LUISS assieme a Enrico Giovannini e Leonardo Morlino durante la presentazione del libro “Presi per il PIL” di Lorenzo Fioramonti.

Da dove nasce il PIL, il “numero più potente del mondo”? Nasce nell’America degli anni ’30, perché bisognava capire come mai l’economia si fosse fermata. Da lì a poco scoppiò la II Guerra Mondiale e quel numero tornò utile per misurare quante bombe, carri armati e aerei gli Stati Uniti di Roosevelt riuscivano a produrre in un anno. Da quel momento il PIL è rimasto il parametro con la P maiuscola per diagnosticare la salute dell’economia di un paese. Ma cos’è davvero il PIL? Per Lorenzo Fioramonti è troppo poco, “una misura anacronistica e fuorviante, che crea incentivi perversi” e quando si usa in modo perverso diventa un rischio per la democrazia, perché “se le persone non possono co-definire le regole attraverso cui funziona il sistema, rimarremo sempre con una democrazia azzoppata”.

Enrico Giovannini, ex numero uno dell’ISTAT, già ministro del Lavoro e con una carriera all’OCSE, non sopporta l’abuso che del PIL si fa in economia e la pone sul piano morale:

“Chiudete gli occhi e pensate in 30 secondi alle 3 cose che vorreste nella vita per la persona a cui volete più bene. Se avete pensato «diventare più ricco ogni giorno», il PIL è la misura fatta per voi. Purtroppo insegniamo questo nelle università. Se avete pensato invece «avere buona salute, un buon lavoro e buoni amici» avete in mente altre facce del benessere altrettanto importanti”.

Anche Fitoussi spera che si possa trovare un’altra misura in futuro, perché “quello che conta davvero non è il PIL, che è solo una media, quello che conta è la distribuzione del reddito tra la gente. Se la crescita è del 10% del PIL ma ne benefica solamente l’1% della popolazione, non interessa a nessuno avere un PIL in crescita”. Nel 2008 il presidente francese Nicolas Sarkozy aveva chiesto a Fitoussi e ai premi Nobel Amartya Sen e Joseph Stiglitz di metter su una commissione di studio. Lo scopo era individuare i limiti del PIL come indicatore della performance economica e del progresso sociale di uno stato. I risultati vennero pubblicati in un report dal titolo “La misura sbagliata delle nostre vite”: i tre economisti concludevano che oltre al PIL bisognava cominciare a prendere in considerazione altri indicatori del benessere, come l’educazione, la sanità, il reddito familiare. Venerdì Fitoussi ne ha aggiunto un altro: il livello di democrazia. Per l’economista, se l’Unione Europea avesse fatto politiche economiche tenendo conto di aspetti intangibili come la democrazia e la solidarietà, adesso avremmo delle buone politiche. E invece il risultato è che anche nei paesi con il PIL più alto e con la crescita più rapida, come nei paesi del Nord, i partiti estremisti, che Fitoussi chiama “un pericolo per la democrazia” guadagnano terreno. E un pensiero in particolare va alla madrepatria e alle elezioni presidenziali che si terranno ad aprile: “Marine le Pen per la prima volta rischia di vincere le elezioni: sono francese e comincio a vergognarmene”.



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