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Vi racconto chi è (e come si muoverà in Europa) Emmanuel Macron. Parla Bassanini

Penso che le definizioni classiche non si attaglino a Emmanuel Macron, ma se dovessi comunque ricorrervi direi che la sue radici culturali sono liberal-democratiche e liberal-socialiste in parti quasi uguali“. Franco Bassanini la Francia la conosce bene, per ragioni professionali e personali. L’attuale presidente di Open Fiber e della fondazione Astrid – nel cui passato, tra le altre cose, compaiono anche un’esperienza da ministro della Funzione pubblica tra il 1996 e il 2001 e quella da presidente di Cassa depositi e prestiti – ha ricoperto Oltralpe numerosi incarichi, fin dal 2002 quando entrò a far parte del consiglio di amministrazione dell’Ena (École nationale d’administration, una scuola di alta formazione per i dirigenti apicali della pubblica amministrazione francese e non solo). Ed è in quegli anni che conobbe per la prima volta Macron: “Era uno dei rappresentanti degli studenti“. Incontri che si sono poi ripetuti nel tempo, ad esempio tra il 2003 e il 2005 quando Bassanini venne chiamato a far parte del Comitato di valutazione delle strategie ministeriali di riforma istituito dall’allora governo di Jean-Pierre Raffarin nel quale – racconta il costituzionalista – “Macron ricopriva il ruolo di rapporteur, una sorta di sherpa“. E poi ancora qualche anno dopo, nella commissione Attali all’interno della quale l’attuale presidente francese esercitava le stesse funzioni.

Una conoscenza, dunque, molto approfondita in virtù della quale Bassanini – in questa conversazione con Formiche.net – ha voluto chiarire subito un aspetto: “Nel raccontare e descrivere Macron non possiamo continuare ad applicare i modelli di cultura politica tipici del ‘900 come invece molti stanno facendo. Questo dato lo accomuna a Matteo Renzi: entrambi hanno capito che i sistemi politici del secolo scorso sono finiti, che vanno superati perché, nel frattempo, il mondo è cambiato radicalmente“. Ciò non vuol dire – ha puntualizzato l’ex ministro della Funzione pubblica – che “la destra e la sinistra siano la stessa cosa: su molti temi, evidentemente, le differenze rimangono“. Però – ha spiegato ancora – “le grandi linee di frattura che oggi attraversano le società e le economie mature dell’occidente sono cambiate, non possono essere capite con le categorie di prima“.

Sono cinque, a tal proposito, le questioni citate in particolare da Bassanini: la globalizzazione, la rivoluzione tecnologica, digitale e robotica, il futuro dell’Unione europea, le migrazioni di massa, il cambiamento climatico e la transizioni energetica. Fenomeni epocali che generano opportunità e rischi e che stanno disegnando una sorta di nuovo bipolarismo, non più caratterizzato dalla contrapposizione novecentesca tra destra e sinistra. “Questi fenomeni stanno alimentando nella popolazione angosce, ansie e collere. La differenza di fondo è sulla risposta che arriva dalla politica. I movimenti populisti, di destra e di sinistra, cavalcano questi sentimenti e offrono ricette difensive. Dall’altra parte, invece – e Macron ha rappresentato questa tendenza con grande determinazione e coerenza – c’è chi li considera fenomeni da governare, rispetto a cui proporre soluzioni positive e concrete per sfruttarne le opportunità e mitigarne i rischi“.

Una caratteristica visibile domenica sera, quando Macron si è presentato di fronte ai suoi elettori e alle televisioni di tutto il mondo tra le bandiere dell’Unione europea e con il sottofondo dell’Inno alla gioia di Beethoven: “Per Macron, e per chi sta dalla stessa parte, l‘Europa è la dimensione naturale, lo strumento necessario per poter crescere e competere in questo mondo globale, per vincere le sfide della globalizzazione, della rivoluzione tecnologica, del cambiamento climatico, per governare i flussi migratori. Per far questo, certo, le istituzioni e le politiche europee devono cambiare: è necessario riformare l’Europa, ma non ridimensionarla e non ri-trasferire la sovranità agli Stati nazionali come vorrebbero i sovranisti e i populisti“.

E’ questa, d’altronde, la sfida fondamentale lanciata dal neo-presidente e accolta da una vasta parte dell’elettorato francese: riformare e rendere più forte l’Europa, in primis in collaborazione con la Germania, come conferma la notizia di un’imminente viaggio di Macron alla volta di Berlino per incontrare Angela Merkel. Una rinnovata intesa che, secondo alcuni osservatori, potrebbe finire con il danneggiare l’Italia o, comunque, con l’escluderla dalle decisioni che contano. “E’ un rischio che esiste ma dipende solo da noi“, ha commentato Bassanini, convinto che la linea di Macron coincida con gli interessi veri del nostro Paese: “Macron è consapevole che il ruolo della Germania è fondamentale ma anche che non sarà semplice convincerla a politiche economiche più espansive e favorevoli alla crescita“. Appunto ciò che l’Italia chiede a gran voce da tempo. Ma non solo: “Macron sa anche che per far cambiare idea alla Germania la Francia da sola non è sufficiente“.

Una consapevolezza che Bassanini ha raccontato di aver toccato con mano personalmente nel dicembre 2015 durante una cena di gala a cui intervennero come keynote speaker l’ex premier italiano Enrico Letta e il futuro presidente francese Macron. “Il primo – ha ricordato Bassanini– al termine di un’analisi molto approfondita disse che l’Europa sarebbe potuta ripartire solo riattivando l’asse tra Francia e Germania. Macron – che prese la parola dopo di lui – affermò di condividerne l’analisi, ma non la conclusione: l’asse franco-tedesco funzionava all’epoca di Mitterrand e Kohl, quando la forza economica e politica dei due paesi era equilibrata; ora, dato lo sbilanciamento di forze a favore di Berlino, per rilanciare l’Unione occorre invece che, nel rapporto con la Germania, che resta fondamentale, a fianco della Francia scenda in campo anche l’Italia ed, eventualmente, anche la Spagna; solo in questo modo sarà possibile ottenere politiche europee più favorevoli alla crescita, all’innovazione e agli investimenti, pur proseguendo nel percorso di risanamento delle finanze pubbliche“. Bassanini tende a escludere che Macron possa assumere atteggiamenti subalterni verso la Germania: “Avrà verso la Germania un atteggiamento più incalzante e esigente di François Hollande e Nicolas Sarkozy. Anche perché Macron sarà più in grado di entrare nel merito dei singoli dossier; è infatti più attrezzato dei suoi predecessori sotto il profilo della preparazione economica e istituzionale: il suo percorso di formazione è stato tra i più selettivi e approfonditi al mondo, fin dal liceo l’Henry IV – uno dei più prestigiosi e selettivi di Francia – a cui sono seguite Sciences Po e l’Ena“.

Ma perché dipenderà da noi se l’Italia avrà un posto nel dialogo franco-tedesco sul futuro dell’Europa? Cosa dovrebbe fare o non dovrebbe fare il nostro Paese? Domande a cui Bassanini ha risposto sottolineando l’importanza di due questioni: una, per così dire, di carattere temporale e l’altra, invece, di natura più squisitamente politica. “Innanzitutto – ha spiegato l’ex ministro della Funzione pubblica – è necessario considerare che il tavolo per l’Europa tra Germania e Francia si aprirà dopo le elezioni tedesche del prossimo autunno, presumibilmente un po’ prima di Natale. Arrivarci anche noi con un governo forte che abbia di fronte a sé un’intera legislatura sarebbe indiscutibilmente importante. L’autorevolezza di Paolo Gentiloni è molto cresciuta in questi mesi, e Pier Carlo Padoan continua a essere molto stimato, ma un governo alla fine del suo mandato non può avere molta voce in capitolo. Penso che chi vuole il voto anticipato utilizzerà anche questo argomento“. Uno scenario sul quale, ovviamente, pesa anche l’incertezza sul tipo di legge elettorale con cui gli italiani saranno chiamati alle urne. Se una legge proporzionale produrrà un governo debole e instabile, il peso dell’Italia sarà comunque scarso. Ma una seconda condizione è squisitamente politica ed è costituita dall’indirizzo europeista o sovranista del governo che nascerà: “Si può chiedere credibilmente che l’Europa cambi le sue Istituzioni e le sue politiche solo se si è convinti del suo ruolo cruciale, solo se si viene percepiti come sicuri sostenitori dell’Unione europea, pur sostenendo la necessità di riformarla“. Solo a questo patto – ha osservato Bassanini – “si potrà utilmente collaborare con Macron per cambiare faccia all’Europa“.

Anche perché le esigenze in questo senso non sono poi così dissimili: anche la Francia “ha bisogno di più margini di flessibilità nelle politiche di bilancio e di un radicale cambiamento delle politiche economiche europee“. Ma senza dimenticare – sottolinea Bassanini – quanto l’Italia ha già ottenuto in questo senso “anche per merito di Renzi e di Padoan: fino qualche anno fa la flessibilità che abbiamo ottenuto negli ultimi tre sarebbe stata inimmaginabile“. E comunque, secondo Bassanini, occorre anche “smettere di ragionare solo in termini di decimali di flessibilità in più o in meno. Conterebbe di più, per noi e per la Francia, un vasto piano di investimenti europei“. Ma da finanziare come? “Con nuove risorse proprie che potrebbero derivare dall’introduzione di una Tobin Tax, di una Web Tax o di una Carbon Tax europea. Oppure con l’emissione di debito sovrano europeo“. Siamo al tema assai dibattuto dei cosiddetti Eurobond che però la Germania ha sempre avversato: “Ma un conto è introdurli per mutualizzare i debiti nazionali e un altro per finanziare investimenti che promuovano la crescita, la transizione energetica, le grandi infrastrutture, la diffusione del digitale in tutta Europa, avviando anche quella convergenza nei tassi di crescita che è essenziale per il rafforzamento dell’unione economica e monetaria. Come propone Renzi, le risorse europee potrebbero essere destinate anche a finanziare l’adeguamento anti-sismico degli edifici pubblici e la prevenzione dei grandi rischi“.

Tra i temi di cui si sta molto dibattendo a proposito del neo-presidente francese c’è poi quello che riguarda i possibili paragoni con alcuni dei protagonisti della politica d’Oltralpe del passato. Ad esempio, c’è chi ha paragonato Macron a François Mitterrand, ma Bassanini non è d’accordo: “Il mondo è completamente cambiato da allora ad oggi, e comunque la loro cultura e formazione sono molto diverse: quella di Mitterrand era essenzialmente politica, da uomo di partito – in sostanza un po’ come Renzi – mentre Macron ha avuto un percorso di formazione economica e giuridica molto più rigoroso, un’esperienza di gran commis pubblico e di banchiere privato, e palestre di riflessione collegiale di gran qualità“. Qualcosa che li accomuna, però, in fondo, esiste: “Condividono tra loro un grande consigliere: Jacques Attali“. Capo di gabinetto con Mitterrand e oggi figura chiave della squadra di Macron “con il quale è stato visto festeggiare la sera del primo turno in una brasserie di Montparnasse in compagnia, tra gli altri, di Jean-Pisani Ferry e Daniel Cohn-Bendit“. Bassanini lo ha definito nel corso della conversazione “un personaggio di eccezionale versatilità, di grande vastità di cultura, di straordinario respiro strategico“. E ha ricordato quanto gli raccontarono diversi ex premier italiani, come  Giuliano Amato, a proposito delle loro visite a Parigi quando all’Eliseo c’era Mitterrand: “La regola era che Attali ricevesse e trattenesse gli ospiti per un colloquio preliminare prima di introdurli da Mitterrand, con l’intento evidente di istruire i suoi interlocutori su cosa a suo avviso avrebbero dovuto dire e non dire poi al Presidente“.

Ma soprattutto Bassanini scommette sulla qualità della squadra da cui Macron si farà affiancare: “Sarà un leader, ma non un uomo solo al comando, anche perché nel corso delle sue esperienze professionali ha acquisito una grande capacità di confrontarsi e interloquire con esperti e personalità di primissima qualità“. Il riferimento del presidente di Astrid è al Comitato presieduto da Francis Mer e poi alla Commissione Attali: di entrambi lo stesso Bassanini è stato componente e Macron “rapporteur”: “Macron ha partecipato a processi di riflessione collegiale e di elaborazione di politiche pubbliche tra alcuni dei più importanti esperti, studiosi e manager europei.  Si andava dal luminare di psicologia al presidente dell’autorità antitrust, dall’economista del MIT all’amministratore delegato della Nestlé, di Axa o del Crédit Agricole, dal grand commis dello Stato al più grande demografo europeo. In quelle sedi Macron ha imparato l’importanza del dialogo, del confronto, del contraddditorio, del lavoro di squadra. Un’esperienza che è raro trovare in un esponente politico “.

E la politica interna francese, invece, come è destinata a cambiare dopo l’arrivo del leader di En Marche! all’Eliseo? “Con Macron si entra nel XXI secolo: il sistema politico francese era rimasto fermo al ‘900, alle sue tradizionali categorie e ai suoi pilastri fondamentali: i socialisti da un lato e i gollisti-repubblicani dall’altro. A differenza, invece, di quanto era accaduto in questi anni, ad esempio, in Spagna e in Italia“. Una novità che sembra preludere al verificarsi di altre, con la decomposizione del sistema dei partiti finora protagonisti in Francia: “Non è un caso che Macron abbia già cambiato il nome del suo movimento in La République en Marche. Non vuole che rimanga un partito personale bensì che diventi una grande forza politica del nuovo secolo: europeista, ambientalista, aperta all’economia sociale di mercato e all’innovazione, capace di liberare le energie e le potenzialità di crescita del paese“.

Operazione politica ambiziosa – in parte già riuscita – che inevitabilmente avrà ripercussioni, forse persino fatali, sui due partiti cardine della storia della Quinta Repubblica francese: “Penso che la sua idea sia di lanciare due Opa: offrirà spazio nelle sue liste e nel suo governo, insieme a forze nuove provenienti dalla società civile, alla parte più riformista dei socialisti e alla parte più europeista e dinamica dei repubblicani“. In questo senso – ha affermato Bassanini – “sarà decisiva la scelta del primo ministro“, che potrebbe essere un uomo con un passato gollista-repubblicano o centrista o socialista: “Nel primo caso vorrebbe dire che Macron ha deciso di dare al suo movimento politico una connotazione moderata di centro, e penso che sceglierebbe qualcuno di molto autorevole ma con una caratterizzazione partitica modesta, come, per esempio, Xavier Bertrand o Thierry Breton“. In un’ipotesi del genere – ha spiegato ancora il presidente di Open Fiber – “il partito socialista cercherebbe, bene o male, di continuare a sopravvivere e di resistere all’opa che da sinistra ha, a sua volta, lanciato Jean-Luc Melenchon“. Mentre, al contrario, la sorte del partito di Hollande potrebbe essere segnata se Macron dovesse scegliere come primo ministro “una figura non caratterizzata politicamente o addirittura – ma è più difficile – un esponente politico dalla storia e dal curriculum socialista. In questo secondo scenario La Republique En Marche si caratterizzerebbe, invece, come un grande partito di centrosinistra – o di centro/centrosinistra – nel qual caso quel che resta del partito socialista finirebbe per venirne alla fine completamente assorbito“.

Quanto ai primi provvedimenti già allo studio del nuovo Presidente, vi sono pochi dubbi che in cima alla lista vi sarà il lavoro: “Macron punta a dare subito una scossa, anche con misure di urgenza, per potenziare la contrattazione aziendale e settoriale, per rendere più flessibile il mercato del lavoro e rendere più moderno e inclusivo il sistema delle protezioni sociali“. Una strada che potrebbe decidere di percorrere anche in un’ottica europea, per aumentare la sua autorevolezza nel negoziato sulla riforma delle istituzioni e delle politiche europee: “E’ un po’ ciò che ha fatto Renzi con il Jobs Act. Ad alcuni Stati core dell’Unione – penso soprattutto alla Germania e ai suoi satelliti del Nord – piace molto pensare che i problemi dei Paesi mediterranei derivino dal mancato varo delle riforme di struttura necessarie, tra le quali un ruolo di primo piano è sempre attribuito al mercato del lavoro. Renzi ha fatto un salto di autorevolezza in Europa con il Jobs Act. Penso che Macron seguirà lo stesso percorso“.

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